La Fiorentina come Russian Doll, serie tv statunitense che vede la protagonista Nadia – interpretata dall’attrice Natasha Lyonne – scoprire di essere confinata all’interno di un infinito loop temporale che, dopo una serie di morti, alcune delle quali anche bizzarre, la riporta sempre al giorno del suo 36esimo compleanno. Nulla di diverso per la squadra viola che da ormai quattro anni, dopo essere più volte morta – sportivamente parlando – tra finali perse e sconfitta contro il Real Betis, si risveglia il giorno dopo in Conference League. E si riparte.
Chi vi scrive non è esattamente più accanito dei sostenitori della più piccola delle tre competizioni europee: non penso che fornisca nessun tipo di appeal, né tantomeno che possa portare significativi introiti economici, dato che anche il Franchi fa spesso fatica ad arrivare a 10mila spettatori nelle partite che precedono le semifinali. Capisco però coloro che tutto sommato il giovedì sera saranno ben felici di mettersi sul divano con gli amici e guardare la partita, anziché dedicarsi ad hobby tra i più disparati quali il torneo di burraco, il maglione ad uncinetto, il bricolage o la maratona di tutti i film del Marvel Cinematic Universe.
Spero soltanto che chi di dovere non sfrutterà questa ennesima qualificazione in europa (volutamente scritta in minuscolo) per beatificare quello che nella forma è, con il sesto posto, il miglior risultato nell’era Commisso, ma nella sostanza, come detto, il solito ‘Giorno della Marmotta’ dalle sembianze della Conference League. La Fiorentina è, con 40 gare all’attivo, la squadra che ha giocato più partite nella competizione che si appresta a raggiungere il primo lustro di vita. Lo è per due motivi: il primo perché, evidentemente, non è mai stata in grado di riuscire a vincerla, nonostante l’aver incrociato solo tre volte squadre appartenenti ai proverbiali top-5 campionati europei. E i risultati sappiamo bene quali siano stati. Il secondo è perché dal campionato non è mai arrivata una stagione che potesse portare un qualche tipo di sussulto.
Ed è proprio quest’ultimo punto il rimpianto più grande. Questa che stiamo vivendo è probabilmente l’era più democratica dello sport. Lo è di tutti gli sport, e quindi anche del calcio. Soltanto nell’ultimo anno di esempi ce ne sono a bizzeffe: l’Atalanta costantemente in Champions e con un’Europa League in bacheca; il Bologna che torna a festeggiare un titolo dopo 51 anni; il Napoli che replica l’impresa del 2023 e si regala il secondo scudetto in 3 anni: anche a Maradona ne servì uno in più. E ancora, Tottenham che torna a sollevare un trofeo dopo 17 anni, il Newcastle dopo 70, il Crystal Palace addirittura il primo di sempre. È la democrazia del trionfo. I trofei non sono più una chimera destinata a finire un discorso che riguarda una certa élite di squadre. Non è più il tempo in cui gli oligarchi a strisce si spartiscono l’oro e al resto del popolo toccano le briciole. Adesso siamo in una democrazia, forse una forma di governo non sempre perfetta, ma sicuramente quella che più lascia spazio al cambiamento. E adesso speriamo che anche in casa Fiorentina qualcosa cambi affinché tutto cambi.
La Serie A si è conclusa e quindi abbiamo provato a fare un pagellone della stagione della Fiorentina. Questi i nostri voti:
Kean 9: Il migliore della Fiorentina e non potrebbe essere altrimenti. Con 19 gol in campionato conclude la stagione come vice-capocannoniere del campionato e al terzo posto dei bomber viola in una singola stagione nell’era post fallimento (meglio di lui solo Toni e Vlahovic). Se ci aggiungiamo anche i 6 tra Conference e Coppa Italia si arriva a 25 in stagione. Non male per uno che ad agosto andava virale per non prendere nemmeno un bersaglio gigante nella sfida contro dei bambini e che a maggio, secondo il nostro umile parere, conclude l’annata da miglior attaccante del torneo.
Gosens 9: al pari di Kean, non forse per un fattore tecnico ma sicuramente per un valore caratteriale. L’esterno tedesco è stato il vero leader emotivo della squadra: sempre lui a parlare e a metterci la faccia nei momenti di difficoltà; spesso determinante nel spronare l’ambiente con una giocata o una rete: dal colpo di testa che è valso il pareggio in Fiorentina-Monza alla terza giornata all’assist per Kean che l’ha chiusa, in stagione ha messo a referto 18 marcature tra gol (8) e assist (10), nessun difensore in Europa ha fatto meglio.
De Gea 9: l’ultimo che va a formare il quadro completo dei così detti ‘Big 3’ viola. Dopo un anno di inattività non ci mette molto a togliersi la ruggine di troppo, contribuendo a ad almeno un buon 15% dei punti realizzati dalla Fiorentina. Finita la stagione alle spalle del solo Svilar come miglior portiere della Serie A, De Gea è stato determinante soprattutto nella prima parte del campionato, con una serie di parate da stropicciarsi gli occhi fino alla mitica serata del doppio rigore parato contro il Milan. Pensare che lo United se lo sia lasciato scappare per acquistare Onana a oltre 50 milioni quantifica quanto la frase che i soldi non facciano la felicità non sempre sia solo retorica.
Mandragora 8: in NBA il giocatore più migliorato della Lega riceve a fine anno il premio di Most Improved Player. Se tale premio si potesse assegnare anche nel calcio, chi più di Ronaldo, ehm…Rolando, Mandragora lo meriterebbe? Battute a parte, la seconda parte del centrocampista campano è stata praticamente perfetta. Sempre tra i migliori in campo, Mandragora ha chiuso la stagione a 9 gol, ad un passo dalla doppia cifra dopo che in tutta la carriera ne aveva segnati 21. Giocatore completamente rigenerato da Palladino e con cui servirà mettersi quanto prima ad un tavolo di trattativa, visto il contratto in scadenza nel giugno del prossimo anno.
Comuzzo 7,5: da non disputare nemmeno il recupero ‘fuffa’ contro l’Atalanta del 2 giugno scorso, ad una stagione fatta di 41 presenze, prima convocazione in Nazionale maggiore e con il meritato gol all’Udinese che regala alla Fiorentina il sesto posto. Com’è cambiata in un solo anno la vita di Comuzzo, oggi ambitissimo da svariate big e fresco di rinnovo fino al 2030. A Palladino i meriti di averci creduto, ma anche il demerito di averlo messo in discussione per Pablo Marì.
Dodo 7: e già sento l’insurrezione. Ma lasciatemi spiegare prima di darmi dell’incompetente nei commenti. Per quanto giocatore forte, non vedo in Dodo quello step di crescita che da uno come lui mi aspetterei. Zero gol pur giocando come ala pura, 5 assist in 46 presenze. Non basta? Prendiamo qualche statistica avanzata: conclude l’annata con l’82% di precisione passaggi, fanno meglio il quasi 57% dei terzini. Ha perso 26 palloni – soltanto il 3,9% dei terzini fa peggio di lui – a fronte di un 53% di dribbling riusciti (fanno meglio il 43% dei terzini). Al classe ’98 va però riconosciuto un attaccamento senza eguali, che lo ha riportato in campo dopo 10 giorni ad un’operazione all’appendicite.
Ranieri 6,5: nell’anno della consacrazione, con la fascia di capitano ereditata da Biraghi, Ranieri è stato il giocatore più impiegato della squadra con oltre 4000 minuti raccolti in tutte le competizioni. Con Palladino è diventato il regista aggiunto della squadra, e per questo non sono un caso tre gol e 4 assist. In difesa, però continua ad essere piuttosto discontinuo. Il prossimo anno urge un ulteriore step in avanti.
Cataldi 6,5: avrebbe forse meritato anche qualcosina di più e a farmi optare per il 6,5 pesano soltanto gli infortuni, che certo non dipendono da lui ma che allo stesso tempo lo hanno fatto saltare. In campo è sempre stato tra i migliori, protagonista assoluto del periodo delle 8 vittorie consecutive. Tra i vari prestiti con diritto, probabilmente è l’unico certo – anche per il costo del cartellino particolarmente alla portata – di restare.
Fagioli 6,5: che è una media tra il 7-8 di alcune partite; del 4-5 di altre e di un mezzo voto aggiunto per la questione scommesse: quando il ragazzo sembrava essersi lasciato alle spalle i fantasmi del passato ecco che questi sono tornati a bussare. Il talento sembra inversamente proporzionale alla felicità. La speranza è che ora che è finalmente riuscito a stabilizzarsi possa tornare anche a sorridere. Ne ha un disperato bisogno.
Pongracic 6: partito come peggio non poteva, ha chiuso l’annata in crescendo. Lui e Comuzzo formano una coppia di sicuro affidamento sul centrodestra, vedremo se basterà per la riconferma.
Adli 6: l’inverso di Pongracic. Partito tra i migliori della squadra, ha concluso la stagione in modo piuttosto brutto, con una gara di ritorno contro il Real Betis tra le peggiori fatte in stagione. La sensazione è che tra lui e Palladino qualcosa si sia rotto e che quindi non vedremo nuovamente ‘il Pittore’ indossare di nuovo la maglia viola. Alla fine però la sufficienza la merita anche lui, non fosse altro perché tra campionato e Conference ha messo a segno 12 timbri tra gol e assist. Numeri piuttosto alti se si considera ruolo e minutaggio avuti dal francese.
Parisi 6: di incoraggiamento, perché rispetto all’anno scorso e mi sembra che abbia fatto un piccolo passettino in avanti. Anche dal punto di vista caratteriale, visto che le dichiarazioni fatte dal procuratore a dicembre avrebbero potuto abbatterlo. Non è successo e alla fine si è dimostrato un’alternativa credibile a Gosens. La sua facilità nel saltare l’uomo lo rendono un giocatore unico in squadra, deve però migliorare ancora tantissimo in fase difensiva: la leggerezza con cui trattiene Lo Celso contro il Real Betis nella gara di andata è inammissibile.
Pablo Marì 5,5: se vi ha convinti vi capisco anche, a me sinceramente no. Autore di errori spesso grossolani (il vantaggio di Cande a Venezia grida vendetta vedendo la classifica finale) che non ti aspetteresti da un giocatore della sua esperienza. Delittuoso, ma di questo c’è anche lo zampino del Mister, aver panchinato Comuzzo per lo spagnolo.
Beltran 5,5: se c’è un giocatore a cui non si può mai rimproverare nulla dal punto di vista di impegno e abnegazione è Lucas Beltran. Il problema è che questo è un contesto in cui si gioca a calcio, non in cui si fa l’Ironman.
Folorunsho 5,5: ha l’attenuante di essersi ritrovato nel contesto di dover sostituire un giocatore fondamentale come Bove senza essere Bove. Palladino non riesce a trovagli una collocazione tattica, utilizzandolo come alternativa a Dodo per far di necessità virtù. Lui in quella posizione è sembrato proprio un pesce fuor d’acqua.
Richardson 5: non voglio farmi abbindolare da un ultimo mese di campionato più che dignitoso. Probabilmente il materiale per lavorarci ci può essere, ma quest’anno lo ha dimostrato con la stessa frequenza che un orologio rotto ha di segnare l’ora giusta.
Colpani 5: partito titolare nel nuovo 4-2-3-1, dimostra di accusare il salto da una piazza tranquilla come Monza ad una ad alta tensione come è quella di Firenze. Pian piano si scioglie come neve al sole e nella seconda metà di campionato sparisce completamente dai radar con una frattura ad un piede che lo tiene ai box per 3 mesi. La doppietta al Lecce nello 0-6 al Via del Mare resta l’unico acuto per il Flaco, il cui futuro è ancora tutto da scrivere.
Gudmundsson 5: purtroppo la nota più dolente dell’annata. Arrivato come colpo estivo dopo una stagione da 14 gol al Genoa, nella prima parte di campionato, tra problemi giudiziari e sfortunati infortuni, non lo si è quasi mai visto. Nella seconda parte probabilmente fa anche peggio, non riuscendo a determinare quasi mai, specialmente, quando il pallone scottava di più. Da capire se meriterà versare quei 17 e oltre milioni rimanenti nelle casse del club ligure per acquistare la restante parte del cartellino dell’islandese.
Zaniolo 4: tornato a gennaio per riprovare a rilanciare la propria carriera nel club che lo aveva visto muovere i primi passi nel mondo del calcio, Zaniolo ha voluto subito mettere le cose in chiaro: ha messo la testa a posto, non è più una testa calda, sono i giornalisti che lo descrivono così. E infatti, in 4 mesi, zero gol, zero assist, 4 gialli, un rosso e una rissa scatenato con i ragazzini della Roma primavera. Ça va sans dire…
Palladino 7: il voto che sicuramente farà più discutere per un allenatore che ha fatto, e farà, discutere. Partiamo da cosa secondo noi non ha funzionato. Specialmente nella prima parte della stagione, Palladino si è affidata soprattutto alle individualità di alcuni elementi della rosa – Kean e De Gea su tutti – non riuscendo a sviluppare un gioco collettivo che potesse esaltare la squadra. A differenza di Italiano (ed è l’unica volta che paragonerò i due), però, di questo ne hanno giovato i singoli, la maggior parte dei quali mai così determinanti in carriera. L’altro punto critico che ha evidenziato la stagione è stata l’incapacità di determinare a partita in corso: Palladino ha trovato 5 reti dalla panchina in campionato, peggio di lui fa soltanto Di Francesco (con 4), tra gli allenatori rimasti in sella per tutte e 38 le partite. Per dare un’idea, Baroni è in testa a questa speciale classifica con 21 gol da calciatori inseriti a partita in corso. Questo aspetto lo si è visto soprattutto nella doppia sfida contro il Real Betis, che ha visto Pellegrini surclassare tecnico viola. Tutto normale, però, se pensiamo che il cileno si affacciava alla gara di andata alla 101esima presenza europea e il collega campano alla 101esima presenza in tutta la carriera. Infine vogliamo citare un ultimo fattore attenuante. E no, non terremo contro degli infortuni: quelli li hanno tutti. Non hanno tutti, però, la sfortuna di veder quasi morire un proprio giocatore in campo, davanti al loro occhi. Sarebbe ingeneroso non dare peso all’incidente occorso a Bove, che tatticamente era l’uomo più importante nella rosa. Alla fine la Fiorentina torna a fare 65 punti come non accadeva dalla seconda stagione di Montella: un piccolo traguardo che deve essere solo un punto di partenza.