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Una storia nera tra Stato e Mafia






La storia della lotta dello Stato alla mafia non è una lotta tra buoni e cattivi dove il bene sta tutto da una parte e il male tutto dall’altra. Il confine tra questi due mondi non è mai stato netto, rendendo possibile in tempi di pace il proliferare di Cosa Nostra e in tempi di guerra la realizzazione di stragi che essa da sola non sarebbe mai riuscita a fare.

Pezzi di Stato non hanno fatto il loro dovere e hanno mischiato i propri interessi con quelli dei mafiosi, arrivando sino a diventare corpi separati in grado di mettere in pericolo la tenuta della nostra fragile democrazia. L’attenzione mediatica però poco si sofferma su collusioni e zone d’ombra: ogni anno si celebrano gli anniversari di Capaci, via D’Amelio, si ricordano le tante vittime di mafia, si fanno discorsi pomposi e retorici nel solco della vulgata tradizionale che vede appunto un blocco compatto delle istituzioni che si contrappone alla Piovra.

La ricerca della verità sui troppi misteri ancora irrisolti rimane in secondo piano, con tutto l’interesse a lasciarla lì da parte di molti giornalisti, politici ed esponenti istituzionali. La sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino e il ruolo dei servizi segreti a Capaci e via d’Amelio, i mandanti delle stragi del ‘92-93, i depistaggi nei Borsellino uno e bis, sono misteri su cui ancora non si è fatta piena luce e che con rarità vengono ricordati all’opinione pubblica. Idem per il processo sulla trattativa Stato-Mafia, ignorato dai più nonostante nel 2018 sia arrivata in primo grado una sentenza che ha condannato politici ed ex vertici del Ros come Mario Mori e Antonio Subranni, accertando che pezzi dello Stato, mentre Falcone e Borsellino morivano sotto le bombe, a partire dal ’92 trattarono con Cosa Nostra per porre fine alla stagione stragista e ricostruire nuovi equilibri di potere.






Ed è in questo contesto che si inserisce una vicenda ancor più dimenticata e sconosciuta, quella di Luigi Ilardo. Nato a Catania ma appartenente alla potente famiglia mafiosa dei Madonia di Caltanissetta, Ilardo nel settembre del 1993 stava scontando a Lecce al 41-bis la propria condanna, incriminato nel 1983 per sequestro di persona e accusato dal pentito Calderone nel 1988 di far parte di Cosa Nostra.

Le stragi del 1992 però lo sconvolgono: quella violenza senza precedenti, a lui che non ha mai ucciso, gli fa domandare cosa stia accadendo, cosa si sia rotto nei rapporti tra Stato e mafia. Intenzionato a cambiare vita e a rompere definitivamente col proprio passato, Ilardo si offre di raccontare quello che sa sulla mafia mettendo la propria vita nelle mani della Dia, nello specifico in quelle di un ufficiale ligure, Michele Riccio.

I due si vedono per la prima volta in carcere a settembre, e tra di loro si instaura subito un clima di fiducia e rispetto. Il 15 ottobre, in un rapporto dell’ufficiale, Luigi Ilardo compare per l’ultima volta col proprio nome: da lì in avanti si chiamerà Oriente, e dal 12 gennaio 1994, quando esce di carcere, torna in Sicilia ed inizia ad agire come infiltrato all’interno di Cosa Nostra. Per oltre due anni, Riccio incontrò segretamente Ilardo più e più volte, annotando fedelmente ogni dichiarazione da lui rilasciata.

Le rivelazioni di Ilardo permisero di arrestare dal 1994 al 1996 decine di boss in tutta la Sicilia, e portarono il 31 ottobre 1995 alla possibilità di catturare finalmente Bernardo Provenzano. In una casupola di Mezzojuso, vicino Palermo, Ilardo riesce a ottenere un incontro con “Zu Binnu”, e il colonello Riccio di conseguenza mobilita il Ros affinché possa avvenire la cattura.

Il generale Mori però nega l’autorizzazione a intervenire, e incredibilmente, mentre Ilardo rischia la vita, Provenzano rimane libero: verrà arrestato solo nel 2006, 11 anni dopo. Evidentemente uomini della politica e delle forze dell’ordine non volevano che in quel momento si mettessero le manette a Provenzano, perché ciò avrebbe scoperchiato il vaso dei segreti di quella trattativa con la mafia iniziata tre anni prima per il tramite dell’ex Sindaco di Palermo Vito Ciancimino; avviata dapprima con Riina, dopo la cattura di certo non casuale di quest’ultimo, giudicato troppo violento e incontrollabile, essa era proseguita con Provenzano, ben più mite e soprattutto contrario alla tattica stragista.

Un nuovo equilibrio si andava ricostruendo, e coloro che potevano rivelare certi segreti indicibili dovevano essere tolti di mezzo. Tra questi vi era Ilardo, che a Riccio stava raccontando dall’interno di Cosa Nostra la trattativa e aveva fatto nomi pesanti come quelli di Marcello Dell’Utri e Bruno Contrada.

Il 2 maggio 1996 Riccio e Ilardo si trovano a Roma nella sede centrale del Ros, dove incontrano i magistrati Caselli, Tinebra e Principato. Ilardo si dice pronto a mettere a verbale tutto quello che sa, a diventare un collaboratore di giustizia: entrerà nel programma protezione testimoni e avrà un altro nome e un’altra vita.

Ma il 10 maggio, nel centro di Catania, a pochi passi da casa sua, Ilardo viene freddato da due killer in moto. Erano in non più di 15 a sapere che stava per collaborare con la giustizia, tra cui Mori e Subranni. Luigi Ilardo è stato ucciso grazie a una talpa istituzionale, ed è stato ucciso perchè avrebbe potuto svelare le commistioni tra apparati dello Stato, imprenditoria e mafia.

Di questa storia ancora senza giustizia ha parlato qualche sera fa Andrea Purgatori ad Atlantide, con tra gli ospiti Luana, una delle figlie di Ilardo. Ne hanno parlato anche Sigfrido Ranucci e Nicola Biondo ne “Il Patto”, un bellissimo libro uscito nel 2010. Casi quasi isolati, in un Paese che si rifiuta di fare i conti con i propri demoni più neri.






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