Se mio nonno mi pose su uno sgabello dove a malapena toccavo per terra le punte delle scarpe, per vedere dentro una TV da poco a colori, uscire il corpo aggrovigliato di quello che per me rimase per sempre il Ministro della Pubblica Istruzione Aldo Moro, la voce di Zavoli, qualche decennio dopo, mi introdusse nel Reportage di quella vicenda tragica, terrificante, che non solo uccise l’uomo, ma la speranza di un popolo e di tante generazioni.
Il gesto di mio nonno, fu complice della mia umana giovinezza, lontana dagli ‘sprecati’. Un aneddoto che denota come per ogni generazione, le immagini, le voci narranti, i fatti di cronaca storici, incidono “nero su bianco” sul potenziale collettivo e soggettivo. Eravamo Giovani degli anni 90, figli delle stelle, senza guerre, autori spensierati delle nostre giornate, cuori puri, intellettuali ironici, lontani dalla idiozia fascista di sangue o dalla ipocrisia della guerra fredda, vicini a quelle generazioni che avevano vissuto “Gli anni di Piombo”.
Eravamo Giovani inesperti alla cattiveria, con il poster di Mandela. Volenterosi e per certi versi costanti, capaci di sognare senza ribellioni esasperate. Volevamo sapere. Conoscere tutto. Quasi nati per unire e fuggire dalla non pace. Divorare la Storia ci occorreva per crescere. Amanti del pragmatismo e di un filosofare forte. Fu proprio così che conoscemmo la mitica voce radiofonica e giornalistica di Sergio Zavoli.
Fu lui a raccontarci “La notte della Repubblica” : 18 puntate capaci dal 1989 al 1990, in solo 45 ore totali di farci viaggiare nel documentario dei nostri predecessori, che trattava i fatti e i volti dal 1969 fino al 1990.
Dalle Stragi di Piazza Fontana, fino alla Storia delle contestazioni degli anni ’68, per arrivare al mostro rosso delle brigate, i golpe e il Clima di Paura. La bicicletta pedalava verso le piazze, nell’aria una fame di cultura che sentivamo nel palato.
Zavoli, il suo saper fare televisione, arrivare ovunque e chiunque, apriva una comunicazione dedicata ai giovani. Verso di noi. Molti anni dopo, il volto di questo uomo inquieto ma calmo, dalla capigliatura curata e folta e dalla priorità e capacità di ragionare sui cambiamenti di epoca o di aprire le porte delle stagioni chiave della vita italiana, apparve ancora più delineato. Scrittore sublime di infiniti saggi, di una autobiografia irripetibile dal titolo “Il ragazzo che io fu”.
Un ragazzo sincero, umile, colto, nato 92 anni fa a Ravenna ma cresciuto nella cittadina ridente di Rimini. La terra dove ha sempre pensato di morire o esser cullato, ‘ove il suo corpo fanciullino verrà posto venerdi 7 agosto, accanto a quello del fedele amico Federico Fellini’.
Lui e Federico, uno regista e intellettuale romantico, capace di sognare, l’altro documentarista capace di narrare l’inchiesta. Un connubio oltre il tempo. E ti viene da gioire a pensarli a un tavolo della bella Romagna mentre pasteggiano con complici tagliatelle. Gli anni di piombo lontani, le loro mani affusolate, macchiate un po’ di inchiostro, protese verso il confronto, il dialogo.
Ve lo ricordate Zavoli, che con il suo taglio rapisce con l’inchiesta “Clausura” ? Quel suo modo di passare dal filmato alla intervista pura, in penombra, senza eccessi nella voce e inquadrato poco. “Clausura” una inchiesta magistrale, con voci ‘strozzate e fievoli’ dietro le grate. Siamo tutti uomini in gabbia ma quello che ci distingue la leale convivenza con i fatti e le persone.
Seppe distinguersi nella Roma dei barlumi, dove visse a lungo. Incise il suo cammino, per lo stile elegante, la civile passione. Presidente RAI. Padre di una figlia che oggi può essere orgogliosa di lui, che seppe perfino distinguersi come uomo integro della politica italiana, senatore dal 2001 fino al 2018, con una vita dedicata al Servizio Pubblico. Prima un servizio di voce e montaggi, poi di azioni concrete. Presidente della Fondazione Emiliano – Romagnola per le vittime e i reati, dal 2004 fino al 2017. Di sicuro una guida importante.
Capace di esordire con il cortometraggio passato alla Storia :”Guida per camminare all’ombra”, dedicato agli antichi portici. Lo vediamo traversarli, in penombra, non si scorge il volto, solo la voce. Ride con con il suo amico Federico. Visita le tappe della vita, di cui l’ultima senza scritta ‘capolinea’. Tira fuori un cartello con lettere ritagliate da svariati giornali:
“Diffidare dalla informazione lampo, lampeggiare di senso e cronaca profonda”.
L’anima scava e Zavoli resta, per voi, per me, sul sacrificio di Aldo Moro, sul volto di chi ancora grida :”Siamo nati per essere l’umanità”.
A te Sergio.