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Nella vicenda Bove c’è anche del buono, ma non illudiamoci: solo per cinque minuti

Domenica sera. Una grande serata di calcio da vivere davanti alla tv: una pizza, gli amici di sempre, la tensione per una partita di campionato che non si percepiva da diverso tempo. Qualcuno quel Fiorentina-Inter l’aveva addirittura chiamato “scontro Scudetto”. Una terminologia che qui a Firenze non si sente tanto spesso, che ci fa gonfiare il petto ed essere tronfi. Nonostante sia ancora dicembre e nonostante negli ultimi 54 anni da queste parti non se ne siano sollevati neanche uno, di questi fantomatici Scudetti. Ma a noi cosa importava. Tutti, mentre la Fiesole si faceva bella come nei grandi appuntamenti, sotto la coreografia di Giovanni delle Bande Nere, volavamo già con la fantasia, sperando in un gol di Kean, in una magia di Adli, in una paratona di De Gea, nell’ottava vittoria consecutiva in campionato che avrebbe pareggiato il record del 1960. Della squadra di Albertosi, Chiappella, Hamrin, Montuori, eccetera, eccetera.

Invece nulla di tutto ciò. Succede che una situazione di protesta su un possibile gol nerazzurro venga paralizzata da un fatto che mai vorremmo vedere da tifosi di sport, e che invece, purtroppo, troppo spesso accade qui in Toscana. Due passi ed Edoardo Bove stramazza a terra, colto da un malore che sembra preannunciare il peggio. Inzaghi, Dumfries, Calhanoglu, Cataldi, Gosens, tutti si precipitano sul ragazzo, chiedendo il tempestivo intervento dei medici. Tutti in quel momento si spogliano dei propri colori per indossare i panni dell’umanità. Firenze piomba in uno stato catartico surreale. Quella vocina nella testa inizia a martellare un pensiero costante: “Perché? Perché un’altra volta a noi? Antognoni, Astori, Barone. Perché deve risuccedere anche ad un ragazzo di 22 anni?”. E quindi cala il silenzio, un religioso e composto silenzio, in rispetto del dolore che in quel momento si stava consumando sul campo di gioco, interrotto soltanto dall’annuncio ufficiale dello speaker che comunicava la sospensione della partita.

E allora, ora che le notizie che giungono dall’ospedale di Careggi sono confortanti e che il ragazzo non è in pericolo di vita, prendiamo quel che di buono ha lasciato una vicenda potenzialmente terribile. Vogliamo ripartire da qui: dal senso di comunità che si è creato all’interno del Franchi per quei cinque interminabili minuti. Dai calciatori, viola e nerazzurri, che hanno protetto il corpo di Bove da cellulari e telecamere che non conoscono il limite della decenza. Da Inzaghi che si fionda in campo rischiando di lasciarci una caviglia. Da Dimarco che abbraccia Colpani e da Bastoni che rincuora prima Comuzzo e poi parte del parterre di tribuna con le parole che tutti volevano sentirsi dire “sta respirando”. Da Cataldi, primo ad intervenire per evitare che la lingua potesse ostruire le vie aeree del ragazzo esanime. E poco importa se la manovra non è stata perfettamente corretta o se avrebbe potuto rimetterci le falangi delle dita: in quel momento la sua prontezza d’animo è stata encomiabile. Da Ranieri e Mandragora che, pur sbagliando perché presi dall’impeto e dalla preoccupazione, si sono precipitati verso i soccorritori. E, visto che ci siamo, dagli stessi soccorritori: esemplari nel mantenere la calma e attenersi al protocollo in un momento così concitato.

Cinque minuti che hanno riportato il calcio alla sua dimensione più umana, diversa da quella che spesso si eleva dentro ad una bolla tutta sua fatta di tattiche, polemiche e contratti stellari. Che hanno mostrato come dietro a quei cognomi e numeri che si leggono dietro alle magliette colorate delle varie squadre ci sono ragazzi come noi, con le loro paure e le loro fragilità. Non mentiremo però: non ci sarà nessun insegnamento da questa storia. Sul web sono già partiti gli sciacallaggi più beceri. Cardiologi dell’internet, neurologi dei social, no vax del web che si appuntano l’ennesimo caso di arresto cardiaco da correlare all’uso vaccini. La crème de la crème, insomma. Non c’è da stupirsi: dove il potere predomina manca l’amore, per citare Jung. Ma è bello sapere che anche per soli cinque minuti tutti, ma proprio tutti, si sono ritrovati dalla stessa parte della barricata.

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