Dai Colli Fiorentini torna a parlare con i tanto acclamati (e poi dimenticati) eroi di quella che viene definita come la “grande battaglia del venti – venti”. Ed è stato proprio questo il fulcro centrale dell’intervista: che fine ha fatto la “cultura celebrativa” verso i dipendenti delle strutture sanitarie? Proprio quella cultura che fino a poco fa colorava le bacheche social di tutti noi “semplici soldati”?
Lo abbiamo chiesto a loro: dottori, infermieri, operatori sanitari ed amministrativi dell’ospedale fiorentino Santa Maria Annunziata che oggi, come negli scorsi mesi, continuano a lavorare in prima linea nella lotta contro il Covid – 19.
Ma prima di tutto: quali sono stati i cambiamenti registrati dalla prima alla seconda ondata?
Uno sguardo tra i “reparti covid”
La domanda viene quasi in automatico: in questa seconda ondata medici ed infermieri si sono trovati preparati?
“In realtà anche la seconda ondata è arrivata come uno tsunami e, sicuramente, potremmo equipararla alla prima per intensità di lavoro. Per quanto riguarda le cure sapevamo invece qualcosa in più: sono stati applicati nuovi protocolli e nuovi approcci clinici.” – ci dicono i dipendenti – “nell’organizzazione strutturale, invece, ci siamo attrezzati in fretta ad allestire i reparti covid, che sono stati pianificati in maniera similare a quelli della prima ondata.”
Nella prima ondata abbiamo chiesto a voi operatori se vi sentiste tutelati durante il lavoro: ciò che maggiormente emergeva in quei mesi era la difficoltà a reperire il materiale ed il sovraccarico lavorativo. Ad oggi è ancora così?
“A differenza della prima ondata reperire il materiale non è oggi un problema: questo è stato disponibile fin da subito e lo è tutt’ora. Il sovraccarico di lavoro, invece, persiste. Questo è anzi amplificato dall’alto numero di contagi registratosi tra i dipendenti, motivo per il quale abbiamo visto un repentino abbassamento di personale disponibile a coprire i turni.”
Possiamo quindi dire che, durante questa seconda ondata, più che carenza di materiale ci sia stata una carenza di personale?
“Assolutamente. Quando hanno riaperto i reparti Covid il personale era già al minimo. Con il grosso numero di contagi tra i colleghi la situazione si è aggravata ed è diventata più difficile del previsto. Questo ci ha portato ad affrontare un’attività lavorativa molto intensa: siamo stati più volte costretti a rimanere dentro al reparto con addosso la vestizione anche per un intero turno di lavoro (circa 6 ore) perché non avevamo possibilità di ricevere il cambio ed uscire. Per ovviare a questo problema il caposala si è trovato molto spesso obbligato a sospendere le ferie di moltissimi dipendenti, i quali dovranno coprire i turni dei propri colleghi in isolamento”
Cos’è cambiato nel primo soccorso?
Se nella prima ondata il pronto soccorso poteva sembrare il reparto maggiormente stravolto dalla pandemia, od oggi i suoi dipendenti sembrano vivere un’organizzazione più definita rispetto ai colleghi dei piani superiori, anche se l’intensità e la difficoltà del lavoro non cambia.
Quanto è cambiata l’organizzazione del pronto soccorso dalla prima ondata?
“Alcuni procedimenti sono molto simili. Persiste ad esempio l’obbligo del pre-triage prima di accedere al pronto soccorso in cui ci accertiamo la temperatura del paziente e che quest’ultimo non presenti sintomi associati al virus. Ad oggi abbiamo però due percorsi ben differenziati: uno riguarda l’”area Covid” a cui sono destinati tutti i pazienti sospetti. Dall’altro lato abbiamo invece il pronto soccorso per tutti coloro che presentano altre tipologie di problemi.” – ci spiegano i dipendenti del reparto – “In questa seconda ondata abbiamo inoltre deciso di ampliare l’area Covid, allestendo con il necessario quella che un domani sarà l’area di attesa per i parenti. Questa zona ad oggi non è mai stata attivata considerando che, fortunatamente, non si è mai registrata la necessità.
Ovviamente, essendo l’OSMA un ospedale Covid rimane l’obbligo di essere chiuso al pubblico. I parenti dei pazienti devono quindi aspettare fuori o, come al solito consigliamo, nelle proprie abitazioni. Ma una differenza che sicuramente notiamo rispetto ai mesi precedenti è che il numero di accessi al pronto soccorso per patologie diverse dal virus è sicuramente aumentato (motivo per cui, ad oggi, la principale necessità è quella di riaprire tutti i reparti non addetti al Covid)”.
Il numero degli accessi è aumentato. Credete che le persone abbiano meno paura della malattia o che sia diminuito il timore di accedere alle strutture ospedaliere?
“Sicuramente ad oggi la positività al virus non è più un intoccabile taboo, ma non crediamo che si sia ridotta la paura della malattia. Crediamo e speriamo piuttosto che sia aumentata la fiducia nella struttura ospedaliera. Per quanto riguarda il primo soccorso, noi ci impegniamo moltissimo per dare sostegno e non far sentire soli i pazienti : chiediamo recapiti telefonici e siamo pronti a fare da tramite per trasmettere l’affetto che i parenti vorrebbero esprimere ai propri cari.”

Sebbene in molti casi le difficoltà sono verosimilmente accostabili a quelle vissute nella prima stagione di pandemia, uno dei più grandi cambiamenti lo si respira al di fuori delle mura ospedaliere: sui social, tra i pregiudizi e le chiacchiere dei più maliziosi o semplicemente nella più comune disinformazione.
In questa seconda ondata infatti, non solo è scomparsa la tanto appassionante celebrazione delle forze in prima linea, ma molto spesso questa è stata convertita nella cattiveria – o forse semplice ingenuità – che ha contagiato parte della popolazione.
Ad oggi per i cittadini non siete più gli eroi degli scorsi mesi?
“Noi siamo gli stessi e lavoriamo alla stessa maniera: ciò implica turni di ore sotto la vestizione per cercare di salvare vite umane. È il nostro lavoro e lo svolgiamo come sempre, da professionisti. Non abbiamo mai chiesto di essere celebrati, i nostri appelli stremanti erano per lo più rivolti al buon senso dei cittadini. Ciò che dispiace oggi, però, è che le tanto esaltate cerimonie di ringraziamento si siano trasformate in atteggiamenti aggressivi: si crede che le nostre figure siano favorite in un sistema che vede molte persone senza lavoro.
Dopo le grandi celebrazioni della prima ondata eravamo consapevoli che questa nuova “cultura” sarebbe con il tempo “scemata” fino a scomparire: non è un caso se ad oggi siamo tornati a subire le solite vecchie critiche per i possibili ritardi o per le restrizioni imposte negli ospedali.
Siamo quindi stati dimenticati? Potrebbe essere. Siamo semplici dipendenti che svolgono il proprio lavoro? Si è così. Ed è per questo che continueremo a farlo, anche di nascosto e senza alcun riconoscimento.“