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Due passi, due chiacchiere e tanti bandoni chiusi...

Due passi, due chiacchiere e tanti bandoni chiusi…

“Che s’hanno a fare du’ passi?”
“E du’ chiacchiere?”
“Bah, un’accoppiata di nulla!”

Oggi siamo in due a dare il nome alla mia rubrica. Siamo in due a “vedere, pensare e scrivere”. Siamo io, la solita Silvia e Carlo Mattioli che di certo non ha bisogno di presentazioni. Carlo che però per noi imprunetini è Carlino, da sempre e per sempre, mi ha chiesto di fare due passi e due chiacchiere insieme ed eccoci qua.
Scrivo io, ma è come se si scrivesse in due e non lo facciamo per mirare a chissà cosa, il nostro ego è al suo posto, non fa voli pindarici, lo facciamo perché siamo due persone di generazioni diverse che sono veramente (ma veramente!) legate ad Impruneta, come sicuramente tanti altri. Tanti eh, non tutti.
Le chiacchiere sono state parecchie, belle e meno belle, i passi pochi perché abbiamo camminato solo per le due strade “clou” del paesello, via Paolieri e via Cavalleggeri. Poi ci siamo fermati perché è arrivato un po’ di sconforto, magari con le belle giornate e l’arrivo della Primavera si prosegue, chissà.

Comunque, Carlino ed io si parte, “Il gatto e la volpe”, un piede davanti all’altro e una chiacchiera dietro l’altra.
Nel mio piccolo, starei ore ad ascoltare chi conosce l’Impruneta così bene, cosa c’era qui, cosa c’era di qua… Tante cose si evolvono, altre però cadono a picco.
Ci lasciamo alle spalle una piazza deserta coi fili d’erba che spuntano dai sampietrini e partiamo.
Guardiamo le vetrine dei negozi imprunetini che aprono il sipario di via Paolieri, ricordiamo gli orafi che sono andati in pensione dopo una bella carriera e da quando hanno chiuso loro, quel fondo è rimasto vuoto, nessuno l’ha ripreso in mano. Com’è succeso a quasi tutti gli altri fondi imprunetini del resto.
Saliamo un po’, ci sediamo sulla panchina e ci godiamo il solicino di Marzo, timido ma con carattere.
Come hanno carattere le due imprunetine amiche di sempre che hanno deciso di cambiare rotta, non sentivano più loro questa realtà, non sono più fisicamente lì nella bottega ma continuano con le loro creazioni fatte a mano, tra manifestazioni sul territorio e richieste online.
Si riparte, lenti e pensanti.
Arriviamo al bivio e ci ricordiamo che laggiù, sul Desco, anche le donne di Fascino sono andate in pensione.
“Un relax meritato!” dico io.
“Di certo! E sulla carta imprunetina è un altro bandone chiuso però…”
Prendiamo i sampietrini di via Cavalleggeri, qui l’erbetta non c’è per fortuna… PER ORA.
Mi fermo e aggrotto la fronte.
“Oh Carlino ma qui ci facevano gli aperitivi poco tempo fa, dico male?”  chiedo io.
“Eh nanni, son durati poco, come Gesù Gristo di Campoli, nato e morto…” mi risponde lui.
“Questo detto non l’avevo mai sentito! Me ra vi glio so!”
“Lo diceva sempre la mi’ nonna” mi risponde invitandomi a preseguire la nostra giratina.

Arriviamo alla sua bottega, un’attività storica tramandata di generazione in generazione e ci affacciamo alla piazza, deserta, tanto per cambiare.
Guardiamo la strisciata in cima a piazza, la Cartoleria Giovanna ha tirato giù il bandone e a breve anche la profumeria imprunetina farà la medesima cosa. Qualche annetto fa anche il negozio d’abbiagliamento nei pressi della Barazzina ha fatto uguale e altre attività negli anni hanno chiuso o cambiato aria.
Ci soffermiamo a ragionare su questo non tanto per puntare il dito, ma per invitare tutti a riflettere sul tipo paese che sta diventando l’Impruneta.
“Carlino, io sinceramente parlando, non l’aprirei nemmeno per sbaglio un’attività all’Impruneta” gli dico col cuore pesante.
“Eh lo credo vai, sarebbe un volo senza paracadute”.
Parliamo tanto, facciamo un discorso ampio su questo calo che c’è stato partendo da quando sono state spostate le scuole per poi arrivare a questa viabilità che per il paesello è stata una ghigliottina. Abbiamo parlato solo di un pezzetto d’Impruneta e abbiamo contato tanti, troppi, fondi vuoti. Le botteghe sono la linfa di un luogo, senza quelle il paese diventa fantasma. E qui, in questo posto che chiamiamo “casa”, da svariati anni a questa parte abbiamo perso tanto, è stato levato senza aver rimesso, come a un conto, se prelevi di continuo e non incassi mai alla fine si prosciuga.
Quando giustamente arriva la pensione il negozio chiude ma qui non c’è alcun tipo di riciclo o di rinnovamento. Chi si mette sul groppone una cosa del genere in un paese in ginocchio? E badate bene, non parliamo di attività “necessarie”, quelle fanno un’altra corsa, noi ci riferiamo ai negozi. Questa è la nostra realtà, chi resiste ha un coraggio da leoni, ma non è facile perché essere ignorati è una sensazione pessima.

Sale la rabbia e la tristezza, rimaniamo un po’ in silenzio.
“A costruire ci si mette sempre tanto ma a distruggere ci vuole pochissimo” dice Carlino. Annuisco, come dargli torto.
Al paesello è stata distrutta una caratteristica fondamentale: l’aggregazione. Quei momenti paesani fatti di attimi: due chiacchiere veloci, un caffè al volo. Anche se uscivi da solo e ti dirigevi verso la piazza, qualche anima imprunetina con cui scambiare qualche parola la trovavi, ora no. La trovi da altre parti ma non nel cuore pulsante del paesello.
Piazza Buondelmonti è irriconoscibile, io ad esempio non mi capacito di quell’erbolina che cresce tra i sampietrini, vi giuro che mi vien male. Carlino ed io sospiriamo. Prima di salutarlo lo abbraccio perché questa chiacchierata con lui mi ha dimostrato per l’ennesima volta quanto sia forte l’amore per questo luogo, quelle famose “radici“, il “nido” di Pascoli.
Abbiamo gli occhi un po’ lucidi perché quando tieni veramente a qualcosa ce la metti tutta e fai tutto quello che è in tuo potere per lottare, per provare a cambiare le cose. Non so come, ma non si può mollare la presa.
L’Impruneta è una candela e la sua fiammela si sta spegnendo piano piano. C’è chi vorrebbe ridar vigore e forza a questa fiamma ma ai piani alti non si ascolta, non ci si confronta. Vanno a diritto, come un ariete, di sfondamento proprio.
Ma quello che si sfonda in maniera irreversibile è il cuore di un paese.

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