Che effetto strano fa passare di questi tempi da piazza Buondelmonti e dal centro storico di Impruneta. Il cuore pulsante del paese, per quel poco che è permesso soffermarcisi o transitarvi di volata, appare come un deserto e silenzioso trionfo della pietra e dei mattoni, con la case che assorbono il timore dei loro abitanti e lo esprimono nelle finestre socchiuse e sospettose.
Affacciarsi dalla Commenda e contemplare la basilica, senza avere nessuno con cui condividere i nostri pensieri, ci porta a rivolgere il dialogo verso noi stessi, confrontandoci con i pensieri e seguendo quel grande dono che è la fantasia. Chiudendo gli occhi e immergendoci in quel surreale silenzio, la piazza vuota di questo terzo millennio può diventare in un attimo quella di oltre un secolo fa, ai primi del Novecento.
Una volta catturata, quest’immagine possiamo portarla a casa con noi, laddove dobbiamo trascorrere questa lunga quarantena, e farla vivere attraverso tutti quei libri che raccontano cos’era l’Impruneta in un tempo ormai sepolto.
Ogni imprunetino ha probabilmente in testa due immagini storiche del borgo, la prima legata all’incisione del Callot e al quadro di Napoletano che rappresentano la piazza affollatissima e vivace durante la Fiera, intorno al 1620, e la seconda che vede invece il pozzo troneggiante su una piazza semideserta e ancora sterrata, con la basilica e il suo campanile sullo sfondo, in una foto dei primissimi anni del XX secolo.
Quel mondo perduto, immerso ancora nella ruralità e nei ritmi lenti della vita, compare facilmente di fronte alla nostra mente se si sfogliano le opere di Leandro Giani. Chi ne possiede anche solo alcune sia consapevole di aver fra le mani un prezioso tesoro, e non perda tempo, ora che il destino ce ne concede molto, nell’iniziare a leggerli con curiosità, provando come detto a immergersi nel paese che fu e a paragonare quei silenzi e quella tranquillità con il paesello al tempo del Covid.
Della penna dell’indimenticato Giani ha già fatto menzione Silvia Colombi in suo bell’articolo di qualche mese fa, sottolineando appunto la bellezza di riscoprire nei libri del grande giornalista come vivevano i nostri avi. Da “Imprunetini si nasce” al “Dizionario dei nomi e dei luoghi di Impruneta”, da “La vispa brigata degli scugnizzi” a “L’Impruneta del Sor Ferdinando”, Giani ha reso immortali i ricordi di un’era mitica, di un paese ancora poco trafficato e con le strade per lo più di terra e ciottoli, con le tante botteghe artigiane e il verde vergine dei campi a colorare il paesaggio da ogni lato.
L’Impruneta descritta da Giani è quella delle “donnette delle dita agili, forti e veloci” che lavorano la pagliuzza ai margini delle vie, le famose trecciaiole, dei signori ben vestiti che si incontrano al Bar Centrale, dei barrocciai che alzano la polvere al loro passaggio, delle processioni da e verso il grande santuario mariano.
In piedi, Ferdinando Paolieri
E’ l’Impruneta degli aquiloni fatti volare dai bambini sul monte delle Sante Marie, della congrega, dei soprannomi e di Ferdinando Paolieri, a giro nel paese alla ricerca di personaggi caratteristici per le sue novelle; è l’Impruneta dei luoghi dai nomi strani e misteriosi, come il bosco “di Giubba”, la “fontallellera”, il “Pratino”, “Pian dell’Aia”; è l’Impruneta del dottor Tirinnanzi, della famiglia Pasqui, è un borgo che si fa largo nel nuovo secolo scoprendo poi la Festa dell’Uva e trovando una descrizione meravigliosa in altri imprunetini doc, come Leo Codacci, autore de “Il più bel paese del mondo”.
Fotogrammi del nostro passato, questi racconti fanno assaporare a chi non l’ha conosciuto un paese genuino e meraviglioso, dove la semplicità si identificava coi suoi abitanti e conservava quella tradizione millenaria legata al cotto, al sacro e ai prodotti della terra. C’era una volta all’Impruneta, come il titolo di un libro di Giani. C’è e ci sarà sempre il ricordo di quelle radici, grazie a chi questo paese lo ama, lo vive e lo sa riscoprire attraverso i suoi più grandi cantori.