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SALVALADRI CARTABIA






Se non fossimo da sei mesi un Paese anestetizzato e prostrato in adorazione del presunto Messia Mario Draghi, ci sarebbe da aspettarsi le piazze piene e una protesta massiccia. Certo, una popolazione di cui quasi quattro milioni guardano Temptation Island non è l’ideale per una sommossa civile, e il torpore estivo (volutamente scelto per approvare porcate parlamentari, come già spesso in passato) annichilisce ancora di più quelle poche resistenze che potrebbero esserci.

Ma non è proprio possibile accettare che si lasci passare nell’indifferenza o peggio nel giubilo quella che Nicola Gratteri, procuratore in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata, ha definito “la riforma della giustizia peggiore della storia”. Dalla mente della ministra Marta Cartabia è uscita una modifica del procedimento penale pericolosa per la democrazia e dagli ampi tratti incostituzionali: due i punti più eclatanti, la stroncatura di tutti i processi d’appello che non arrivino a sentenza entro due anni da quella di primo grado e in Cassazione dopo un anno da quella d’appello, la decisione di affidare al Parlamento la scelta dei reati da perseguire o ignorare, in barba al principio della separazione dei poteri.






La litania ripetuta dalla ministra e dal governo dei migliori ci dice che questa riforma è ciò che vuole l’Europa, che i processi devono avere una fine certa e che non ci saranno assolutamente sacche di impunità; tutti quelli che si sono provati a criticarla sono stati dipinti come dei giustizialisti sediziosi. Peccato che le critiche non siano arrivate dagli ultimi boia di piazza. L’Anm ha previsto la morte di 150.000 processi in corso, il Csm ha bocciato la riforma con un voto in plenum a larghissima maggioranza, il Procuratore nazionale antimafia Cafiero de Raho ha affermato che la riforma “mina la sicurezza e la democrazia” perché manda impuniti “reati gravissimi di mafia, terrorismo e corruzione”.

Proprio l’aspetto legato alle mafie ha sollevato le critiche più feroci, ultime quelle di Salvatore Borsellino, il quale ha urlato la propria rabbia dicendo che così facendo si distrugge il sogno del fratello Paolo e di Giovanni Falcone: chi voterà questo schifo non dovrà osare “nemmeno pronunciarne il nome”.

Cartabia, che pure si era permessa alla Camera di affermare che nessun processo di mafia sarebbe stato improcedibile, alla fine si è dovuta per fortuna piegare alla richieste di modifica che sono giunte con forza in sede politica, soprattutto da Giuseppe Conte. Perlomeno il minimo sindacale è stato strappato, e dunque nel nuovo testo non c’è nessuna improcedibilità per i reati di mafia, triplicano i tempi per i reati ad aggravante mafiosa, si raddoppiano per tutti gli altri, con decorrenza da 90 giorni dopo la prima sentenza e termini sospesi se si rinnova il dibattimento; viene inoltre resuscitata la riforma Bonafede, con il blocco della prescrizione dal primo grado.

Sicuramente, la riforma Cartabia rimane “una porcheria”, come ha affermato l’avvocato Fabio Repici, difensore di molte vittime di reati di mafia. E’ proprio verso le vittime che la riforma si presenta come più offensiva, e infatti i familiari dei morti di stragi come quella di Viareggio o di Rigopiano si sono ritrovati a fine luglio di fronte a Montecitorio per un sit-in di protesta.

Sono molti per giunta i reati che andranno nelle tagliole dell’improcedibilità, da quelli dei colletti bianchi ai reati ambientali passando, ed è un paradosso, da quelli previsti dalla legge Zan. Ma alla nostra politica marcia e collusa ciò non interessa minimamente. Non desta stupore il fatto che questa riforma trovi l’entusiastica approvazione della destra di governo Lega- Italia Viva-Forza Italia ( a scriverla d’altronde sono stati Giulia Bongiorno e Nicolò Ghedini, avvocati di Salvini e Berlusconi).

Non c’è da stupirsi neppure del fatto che sia stato d’accordo anche il Pd, monopolizzato dai renziani e nella restante parte troppo debole per poter contare qualcosa. La vergogna sta semmai nel fatto che a dire sì a questo scempio siano stati i 5Stelle, pronti a rinnegare i propri principi e ad incassare di tutto pur di non far affondare questo carrozzone di governo; accettare un compromesso al ribasso, alla luce delle modifiche strappate da Conte, è solo la vittoria di Pirro di una forza che oramai ha svenduto se stessa e si prona a votare, nonostante in Parlamento abbia i numeri per far affondare tutto, una riforma su cui Draghi ha avuto pure la faccia tosta di mettere la fiducia.

Siamo un Paese allo sbando, l’unico in Europa che si trova ciclicamente a stravolgere la giustizia, adesso minacciata anche dal referendum di leghisti e radicali che vuole limitare la custodia cautelare e cancellare la legge Severino. Che trionfino i ladri, i mafiosi e chi li favoreggia, in questa repubblica delle banane.






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