L’odissea di Alessio, ripolese di 27 anni, perdura da oltre un mese e va oltre la sua positività al covid19. Intercetta le difficoltà gestionali del momento e svela il caos decisionale ed organizzativo legato al coronavirus. Una condizione d’assurdità che assomiglia ad una barzelletta raccontata male e sfinisce, in realtà, chi è costretta ad ascoltarla ogni giorno.
Da 28 settembre Alessio è in isolamento nella propria abitazione di Antella, in quarantena preventiva prima di risultar positivo al coronavirus il 10 ottobre, data del suo primo tampone e dell’inizio di un viaggio paradossale nei gironi infernali del virus.
Asintomatico con il solo deficit sensitivo legato all’olfatto – “Inizialmente non sentivo gli odori” – il ripolese si è sottoposto, in una postazione drive trough, ad un secondo tampone il 18 ottobre e ad un terzo il 25: positivo e positivo.
E giunse il 21° giorno…
Come si legge nel sito del Ministero della Salute: “Le persone che, pur non presentando più sintomi, continuano a risultare positive al test molecolare per SARS-CoV-2, in caso di assenza di sintomatologia (fatta eccezione per ageusia/disgeusia e anosmia 4 che possono perdurare per diverso tempo dopo la guarigione) da almeno una settimana, potranno interrompere l’isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi. Questo criterio potrà essere modulato dalle autorità sanitarie d’intesa con esperti clinici…”
Appunto.
Alessio il 31 Ottobre ha concluso i suoi 21 giorni di isolamento rispetto all’inizio della positività, pronto per un reintegro nella società da “reduce” del virus. Ma…
La storia, quella “nosense“, inizia proprio quando doveva finire.
“Il mio dottore di base mi ha informato che avrei dovuto aspettare la comunicazione dell’Asl per concludere l’isolamento. Ho chiamato l’Asl ed ho ricevuto svariati numeri telefonici per contattare l’Igiene Pubblica dipartimento di San Salvi, il primo era lo 055 6933737.
Dal 31 Ottobre ad oggi, in una settimana, ho provato ogni giorno a fare decine di chiamate senza ricevere risposta o venendo per lo più rimbalzato. Nessuno mi ha saputo fornire indicazioni ed anzi alcune si contraddicevano tra loro. Ho chiamato l’ASL, la Regione Toscana, il Ministero della Salute (c’è un numero verde covid): alcuni mi hanno riferito che il mio dottore di base deve rilasciarmi il certificato, altri che deve essere l’Igiene Pubblica ad attestare la possibilità di tornare in società.
Anche il dottore ha provato a mettersi in contatto con l’Igiene Pubblica ma neanche lui – incredibile! – ce l’ha fatta. Mio padre è stato dai Carabinieri, solita telefonata al dipartimento ed ennesima non risposta. “
Intanto l’isolamento continuava.
22, 24, 26 giorni…
In questo gioco subdolo di “acchiappa l’info giusta” ed interminabili telefoni senza filo, c’è chi, proprio come Alessio, potrebbe avere ripercussioni sociali e lavorative: dalla fine della “malattia” – il 31 Ottobre – il dottore non ha potuto più emettere certificato medico per Covid ed il giovane ripolese è risultato assente ingiustificato a lavoro per l’intera settimana.
Un limbo lungo sette giorni…
Dopo oltre un mese di quarantena di cui 21 giorni di positività isolata, altri sette giorni di risposte chieste e mai ricevute pesano come un macigno sul morale di una persona. Anche a 27 anni…
“Un limbo infinito. In un mese non ho ricevuto una sola chiamata che mi chiedesse come stavo. L’unica da ALIA, il gestore dei rifiuti, al 15° giorno di isolamento…peccato che il bidoncino me l’abbiano portato due giorni fa: per fortuna ho una terrazza, ho tenuto i rifiuti lì per circa due settimane…
Nessuno ti segue, nessuno si mette in contatto con te, nessuno risponde. Un’odissea inaccettabile. Quello che chiedo all’Asl è: “Chi mi giustifica le assenze non autorizzate a lavoro? Riceverò un certificato retroattivo?”.
Ed intanto domani, se riuscirà considerata l’affluenza altissima, Alessio si sottoporrà ad un quarto tampone nel giro di un mese: se sarà negativo, finalmente e senza attendere autorizzazioni, potrà uscire dallo stato di isolamento. Ma che fatica…