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Operaia e madre, morta sul lavoro a 23 anni. La rabbia della Cgil: “Inaccettabile”






Un nuovo caso di morte sul lavoro ha sconvolto, questa mattina, l’area di Prato e la Toscana tutta: Luana D’Orazio, 23enne e madre di una bambina piccola, residente coi genitori a Pistoia, è rimasta impigliata nel rullo dell’orditoio dell’azienda tessile nella quale lavorava, restando uccisa.

I vigili del fuoco del distaccamento di Montemurlo, col supporto anche di personale proveniente dalla sede centrale di Prato, sono intervenuti sul luogo dell’accaduto, in Via Garigliano nel comune di Montemurlo, per l’incidente ma i soccorsi sono stati vani.

Giunto sul posto, il medico del 118 non ha potuto fare altro che constatarne il decesso. Sul posto anche il magistrato di turno, i Carabinieri della tenenza di Montemurlo ed il personale ASL per la sicurezza nei luoghi di lavoro. Il macchinario presso il quale è avvenuto l’incidente è stato posto sotto sequestro per consentire di effettuare tutti i necessari accertamenti. La squadra VF intervenuta ha provveduto al recupero del corpo dopo che il PM ha dato il via libera.






Gessica Beneforti di Cgil Toscana ha dichiarato:Una tragedia del lavoro, una tragedia umana che ci sconvolge. Non essere riusciti a fare abbastanza per evitarla ci dilania come sindacato e come persone. Di nuovo siamo a chiedere una più incisiva assunzione di responsabilità collettiva, a partire dalle azioni delle istituzioni e degli organi a cui compete il dovere di indirizzo, vigilanza, controllo e sanzione, e dalla necessità di contrastare con forza l’idea sempre più marcata che la sicurezza sia un costo e non un investimento prima di tutto sulla vita”.

Barbara Orlandi (Coordinamento Donne Cgil Toscana) si è espressa con le seguenti parole: “Morire a 23 anni di lavoro e lasciare una piccola creatura. Morire dentro l’ingranaggio dell’orditoio, quella macchina che permette di preparare la struttura verticale della tela che poi costituirà la trama del tessuto, appunto l’ordito, dal quale deriva il termine ordire. Possiamo davvero assumerci la responsabilità di una cospirazione, tanto è ingiusto e insopportabile morire di lavoro. Morire di lavoro a 23 anni, in una azienda e per colpa di un macchinario, sembra di raccontare una realtà diversa da quella che dipingono i nostri e le nostre giovani svogliati, insofferenti, disadattati e stanchi.

C’è chi lavora e quel lavoro se l’è portata via. La responsabilità di far morire di lavoro riguarda tutti e tutte noi. Non è sfortuna, non è sventura e non è neanche solo colpa di tutti quei soggetti preposti a salvaguardare la salute e la sicurezza di chi lavora. Riguarda la responsabilità collettiva di tollerare la superficialità e l’incuria, di non accanirsi abbastanza per il rispetto delle regole, degli orari di lavoro, dell’accurata manutenzione delle strumentazioni dei macchinari, sempre e comunque. Perché le tragedie accadono e allora, solo in queste circostanze, pensiamo a come avremmo potuto evitarle. Un affettuoso saluto alla giovane lavoratrice, un abbraccio ai suoi genitori e alla sua piccola bimba, promettendole di non stancarci mai di vigilare sulla sicurezza di chi lavora”.






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