Arrivederci, Signora Festa…
Ma prima di lasciarti andare voglio dirti qualcosa di mio, di prezioso. Non ti parlerò da Palloiana, bensì da rionale a prescindere dal colore del mio cuore. Ti scrivo da imprunetina, da persona perdutamente innamorata di questa tradizione.
Signora nostra, cara Festa dell’Uva, ieri ti abbiamo celebrata a dovere dopo due anni di stop e non sai quanto ti abbiamo aspettata, non hai idea di quanto c’eri mancata. Tornare a viverti è stato un regalo unico, aprire gli occhi la Domenica mattina con le palpebre già pesanti, le occhiaie sotto le scarpe ma col cuore che pompa una quantità di adrenalina indescrivibile è stata un’emozione pazzesca, un qualcosa che raccontare a parole mi è impossibile.
Ieri l’Impruneta ha fatto scorrere nuovamente la sua linfa e quanti sorrisi, quanto orgoglio, quanta bellezza riempiva il mio paesello. Quanta gente su quelle tribune, è stato tutto così bello. Pareva un sogno ad occhi aperti e con l’anima spalancata pronta ad acchiappare al volo tutte quelle sensazioni.
Signora Festa, ieri sera ero stanca morta, come tutti i rionali attivi che da più di un mese hanno praticamente messo in stand by la vita di tutti i giorni per dedicarsi a questa realtà parallela che ci piace così tanto. Ero stanca sì, cotta a puntino ma con una felicità addosso che avrei potuto risfilare un’altra volta, anche in pigiama.
Mentre ero sotto la doccia a levarmi tutto quel trucco e quei brillantini, ho pensato: “mm.. E ora?” e poi l’ho sentita. È arrivata di soppiatto, netta e silenziosa. Fastidiosa.
Ho sentito quella sensazione di vuoto che fa correre le lacrime agli occhi come se fossero delle maratonete. Non ceno più circondata da tanta gente, non porto più quei vassoi, i cori, i colori, la vernice sotto le unghie, quegli occhi che conosco da sempre, quelle mani sporche, abili ed ingegnose che ti danno un abbraccio, una spinta e una pacca sulla spalla.
E ora, Signora Festa?
E ora la verità è che non ho voglia di mandarti via. Resta ancora un po’ con me, con noi.
C’è la serata di stasera, ceniamo al cantiere perché si sente già quell’astinenza da famiglia. Poi ci si prende tutti un po’ in giro, si canta ancora qualche coro perché “i’ bottino gli’ha daho di fora” anche stasera. C’è sabato, i bianchi cenano in piazza ma noi andiamo a casa nostra e stiamo ancora un po’ insieme. Mi manca il mio vassoio da portare senza far cadere niente. Ah, poi c’è la Fiera, siamo ancora insieme quella settimana.
E poi… E poi si riparte, c’è un nuovo progetto da pensare, le sagre ed ecco che ci risiamo.
Un ciclo, un bellissimo ciclo familiare. Mi guardo le mani. Le ho lavate e grattate ma ci sono ancora dei rimasugli. C’è un taglio sul dito indice della mano destra, lo guardo e sorrido.
Può un taglio far sorridere? Sì, perché il ricordo di come me lo sono fatto mi riporta lì, a quel momento preciso, a quegli odori, quelle sensazioni di euforica magia.
Io sono verde, ma so che anche tu, rosso, celeste e bianco stai provando la stessa cosa.
E’ finito solo il pezzo più grande di questo nostro ciclo. Adesso continuano i tassellini.
Arrivederci, Signora Festa… E grazie, grazie per essere nella nostra vita, la riempi in una maniera indicibile.