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Antella-Lebowski spiegata a chi non ama il calcio

Lo spettatore incuriosito, mentre il pallone comincia a circolare intorno alla metà campo e si esauriscono i fuochi d’artificio sparati da entrambe le tifoserie, si guarda intorno. Pienone alla sua destra, pienone alla sua sinistra. Dietro, una frotta di persone che non hanno avuto fortuna e tempismo per trovare un posto a sedere. Riflessione a voce alta inevitabile: “Ma quanti saremo?”. A fugare il dubbio è lo speaker delle Due Strade, alla fine dei tempi supplementari: “Almeno 2500 persone”. Per una finale di Coppa Promozione. Di mercoledì sera.

Antella-Lebowski ci consegna un verdetto: i biancocelesti alzano al cielo il trofeo dopo una cavalcata ricchissima di soddisfazioni (leggasi anche derby vinto a novembre contro il Grassina) e si guadagnano un posto nel quadrangolare finale che mette in palio un biglietto per la prossima Eccellenza. Ma di verdetti, in realtà, se ne contano molti altri. Il Lebowski, inserito nel “lontano” Girone B (quello che di fiorentino possiede due blasonate come Porta Romana e Sestese, e poi aggiunge team pisani e maremmani) è una certezza. A qualunque categoria. Tu vai a vedere i grigioneri alle Due Strade, o a 200 chilometri da casa, e hai l’assoluta certezza che non giocheranno mai solo in undici.

Nella finale contro l’Antella il Lebowski (dopo aver esaurito già nella giornata di domenica le 600 prevendite inizialmente messe da parte) ha portato allo stadio oltre un migliaio di sostenitori, assiepati in una tribuna scoperta (una curva, sostanzialmente) che non veniva aperta alle Due Strade da tempo immemore. Sentire cantare i tifosi grigioneri riporta alla mente scene da Serie A. E vedere bambini e bambine ai piedi della gradinata, con lo sguardo a metà fra gli amici ultrà e il rettangolo verde, fa bene a chi crede che il calcio sia ancora una poesia da scrivere a tutte le età. Anche chi non ama il pallone, osservando scene così, avrà dato ragione a Pasolini quando ricordava che il calcio “è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”.

Poi c’è l’Antella. Che allo stadio si è fatta sentire attraverso la voce dei giovani “Figli del Peruzzi”. Non hanno surclassato la curva Moana Pozzi di grigionera fede, ma sarebbe stato impossibile per chiunque a queste latitudini. Il tifo biancoceleste, comunque, non ha smesso per un secondo di incitare la banda di Morandi. Fino a esplodere di gioia al gol di Santucci, sliding doors di un treno su cui l’Antella sale volentieri, riscattando in un sol boccone l’amarezza di aver perso il campionato a pochi minuti dalla fine, lo scorso anno. Il Lebo rimarrà invece sicuramente in Promozione, per questa stagione, ma non esiste limite di categoria per chi ogni domenica riempie gli stadi con questo amore.

Excursus su quanto accaduto in campo. Lo spettacolo non sarà stato dei migliori: pochi tiri nello specchio, il pallone in diverse situazioni pesava più di una palla medica. E ci può stare. Ma sfidiamo chiunque a dire che non sia valsa la pena acquistare il biglietto d’ingresso alle Due Strade. Con un cornice così…

Cosa ci lasciano i 2500 presenti alle Due Strade, allora? La sensazione che il nostro movimento sia vivissimo. Che sia ancora possibile mettere insieme un gruppo di amici, due trombette e qualche fumogeno. E che la passione si riesca a trasmettere con capacità di contagio impressionante. Chi scrive è un inguaribile romantico dello sport, di quelli che ascrivono alla categoria “vero calcio” solo le gare al di sotto della Serie C. Ecco, vale la pena ricordare che la propria squadra del cuore, soprattutto quando a rappresentarla sul campo ci sono amici e compaesani, è quella a cui si perdona tutto, letteralmente, perché ti porta indietro nel tempo e ti lascia un’illusione da brividi. Quella di rimanere bambino per sempre. Come gli oltre 2500 di ieri, di ogni età e fede.

Antella-Lebowski, più che una finale, è un monito: nutriamolo, il nostro calcio. Innaffiamolo di passione e gioventù, perché non è ancora compromesso dalle sporcizie che vediamo in televisione. Non può essere una coincidenza che in questi anni di limitazioni, di porte chiuse e di compromessi faticosi, abbiano visto la luce e ritrovato vigore movimenti di tifosi sempre più appassionati fra i Dilettanti. Curve come quelle di Lebowski, Antella, Grassina, Signa, Luco, Fortis Juventus e moltissime altre nel fiorentino e non solo lanciano un messaggio anche a chi non ama il calcio: per giornate così ha ancora senso fare sacrifici durante la settimana, uscire prima dall’ufficio, portare un bambino sugli spalti, comprare un paio di petardi e allestire una macchinata. Piaccia o no, il pallone allo stadio lo portano ancora i tifosi: ed è piuttosto confortante, a pensarci.

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