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La Liberazione ad Antella, estate 1944: “Si ritornò a vivere”, memorie di Ubaldo Bardi

Memoria di un ragazzo universitario, Ubaldo Bardi, ripreso dall’annuario del Circolo Ricreativo Culturale di Antella: correva l’anno 1944, l’armistizio dell’8 Settembre aveva diviso l’Italia e portato la Guerra Civile, la paura dominava le giornate anche all’Antella, mentre sulle colline si organizzava la Resistenza. Una testimonianza storica, preziosa, ancor più significativa per noi che, oltre 70 anni più tardi, ci troviamo con le dovute differenze minacciato da un nuovo nemico, privati delle nostre libertà:

Si ritornò a vivere

“Un profondo silenzio aveva invaso il paese dopo lo scoppio delle mine tedesche che avevano fatto crollare il ponte sull’Isone e quasi distrutto le prime case di via Pulicciano. Era la fine dei patimenti per noi renitenti alla leva; la fine di un incubo fatto di fughe, d’apprensioni, di lotte, di paure. Le truppe alleate erano vicine al paese e presto sarebbe stato liberato. Tutto questo si pensava mentre i vecchi – uomini e donne, ragazzi ed ammalati – s’erano rifugiati nella sede della Venerabile Misericordia dell’Antella col Monsignore Leone Acomanni e pregavano il Signore che facesse finire questa tragedia.

Le case della piazza presentavano una scenografia piuttosto triste e sembravano interpretare lo stato d’animo della popolazione. Eravamo all’epilogo di una guerra disgraziata, ingiusta, contro i nostri interessi, voluta dai gerarchi fascisti che avevano creduto alle parole tracotanti del Condottiero che, orgogliosamente, dopo la vittoria in terra spagnola delle truppe legionarie aveva solennemente affermato: Siamo passati e vi dico che passeremo.

Una incosciente presa di posizione; i disastri delle nostre armate in Africa Orientale, in Grecia e più tardi in Libia, avevano rivelato tutte le tare della nostra preparazione che si basava su armi residuate della prima guerra mondiale insufficienti e non adeguate ai nuovi tempi. Ricordo allora si diceva che,

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Antella 1944, rovine case al ponte.

alle mirabolanti sfilate del Duce, gli equipag- giamenti erano sempre gli stessi e si spostavano da una città all’altra. Ora tutto era perduto e la boria dei gerarchi si era dis- solta in una rivoluzione da palazzo che aveva esautorato Mussolini dal potere e creato una situazione politica molto pericolosa, con i tedeschi in casa che giustamente ci accusavano di tradimento una volta schierati dalla parte degli anglo-americani.






Io ero militare al 57° distaccamento del Distretto Militare di Reggio Emilia e l’otto settembre per puro miracolo e sangue freddo ero riuscito a sfuggire alle grinfie di un reparto tedesco che aveva occupato la caserma e arrestato tutti gli ufficiali. Cominciò allora la latitanza per sfuggire alle chiamate del rinascente esercito della Repubblica Sociale Italiana rifondato da feroci assertori della violenza e della sopraffazione.

Andai a Montisoni dal Faeti per un certo periodo di tempo, poi a Gambassi presso mio zio Ricciotti, socialista militante e membro del Comitato Liberazione Nazionale di quella zona. Ma di nascosto ritornai presto al paese e rimasi chiuso in casa in attesa degli eventi. Frattanto i giovani renitenti alla leva erano fuggiti tutti sulle colline; io avevo fra loro degli amici e, non appena seppi il luogo, li andai a trovare. Attraverso mio padre, consigliere d’ispezione alla Venerabile Misericordia, feci loro elargire dei sussidi per sopperire alle necessità più urgenti. C’era nell’aria un senso di paura, ma anche di grande solidarietà.

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Questi giovani avevano scelto la macchia prima di presentarsi alle autorità repubblichine; era una presa di posizione logica perché il nostro spirito di libertà si ribellava alla nascente Repubblica di Salò fatta solo di facinorosi e violenti che si erano affermati nel regime con soprusi e minacce ed ora erano costretti a fuggire al Nord per paura di essere linciati. Il Graiusi, il Peruzzi, il Galanti, mio cugino Bertino ed altri formarono un gruppo d’avanguardia che poi sarebbe stato il nucleo partigiano dell’Antella, pronto al sacrificio per liberare Firenze dai nazifascisti. Altri giovani poi ingrossarono questo nucleo (il Mattioli, il Chini, il Bacci, ecc.) e si batterono con coraggio in nome della libertà.

La campagna repubblichina contro i renitenti alle leva si svolgeva su due fronti; da un lato si prospettavano per gli studenti universitari enormi facilitazioni e riduzioni dei programmi d’esame lo diceva Radio Pavolini, cercando di adescare quei giovani che avevano dovuto interrompere gli studi. Dall’altro era una sequela di minacce e ritorsioni fino alla morte.

Dell’Antella, sui monti circostanti, c’era anche Emilio Morandi, ufficiale, che divenne poi il comandante del nucleo partigiano; dopo lo sfasciamento di un reparto militare nei pressi del paese il Morandi e la fidanzata requisirono bombe a mano e materiale bellico che doveva servire come armamento per la squadra partigiana che ebbe il suo collocamento definitivo in Fonte Santa.

I giovani allevati dal regime, tutti dissociati, non avevano prestato fede alle chiacchiere di Amato Barbieri e di altri gerarchi che cercavano di catechizzarli e di portarli dalla loro parte; non valsero a nulla le adunate, i corsi premilitari, le prediche nelle scuole. La gioventù antellese coscientemente s’avviava verso quella primavera di libertà che aveva lasciato il nostro paese con l’avvento al governo di Mussolini. La libertà, pane quotidiano dei nostri padri che non avevano saputo evitare l’avvento del fascismo, per divisioni ideologiche e spesso per interessi personali, bussava alla porta dei loro cuori e gridava vendetta.

 Foto di Menotti Ceccherini: militari tedeschi su carri agricoli trainati da buoi, bestiame razziato ai contadini locali per farne carne da macello destinato al loro uso alimentare





Ricordo, dopo la mia fuga da Reggio Emilia, d’essere andato a trovare Bertino del Casini, che s’era slogato un piede e stava in cucina con Silvano ad esaminare e discutere il Manifesto dei Comunisti di Carlo Marx. Erano giovani allegri, che alla domenica andavano a ballare, o a giocare furibonde partite di calcio con la squadra guidata da Silvano, ed erano insorti contro i tedeschi e i fascisti al richiamo della loro terra, quella dei padri che avevano sofferto l’umiliazione del fascismo e paventavano una sua ricostruzione.

Furono mesi di tensione, di fermento d’entusiasmi per le imprese dei ragazzi – gli scugnizzi nelle fatidiche giornate napoletane – e per l’avanzata alleata verso Roma. Quando le truppe alleate varcarono il confine ed entrarono in Toscana, gli uomini se ne andarono tutti in montagna. Già da tempo la casa del podere di Val di Lucciole del contadino Catelani era divenuta il centro operativo di raccolta per quanti volevano combattere i fascisti e i tedeschi e provvedevano ai bisogni di questi sfollati.

«Il bosco di Fonte Santa – scrivono in Fonte Santa Massimo Casprini e Silvano Guerrini – proprio perché lontano dalle principali strade e percorso da pochi sentieri, fornì un prezioso asilo» a quanti militavano contro il fascismo. I giovani vi trovarono un valido rifugio e si prepararono decisamente alla lotta, identificandosi con la Brigata Sinigaglia.

Il 4 agosto 1944, dopo il richiamo della Martinella, questi giovani con in testa il Morandi, scesero a combattere a Firenze (tra loro c’era anche il Professore Raffaello Ramat) e lottarono per giorni e giorni contro i fascisti e i tedeschi. In un giro di pattuglia verso il Ponte Rosso tra il Mugnone e la città morì Berto Casini colpito da un cecchino. Cadde come un angelo trafitto all’improvviso col sorriso sulla labbra.

I giovani dell’Antella si comportarono stupendamente e rientrarono solo al paese dopo la liberazione di Firenze. L’incubo era finito all’Antella; la popolazione riaffollò le proprie case e riprese la vita normale, mentre i mezzi alleati invadevano campi e ville. Molti ospitarono nelle loro case i soldati alleati e si stabilirono buoni rapporti d’amicizia.

La grande paura era finita, gli uomini erano tornati a casa; iniziava il dopoguerra in un clima d’incertezza, ma anche di rinnovato vigore. Riprendemmo i libri, iniziammo a collaborare ad un giornaletto del partito comunista Isone-Ema che portava i nostri scritti e notizie di tutta la zona. I partiti si andavano organizzando, la vita democratica prendeva quota, le nostre speranze si avveravano.”

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