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Elezioni comunali

I soliti noti del 25 Aprile

L’avvicinamento al 25 Aprile si porta dietro ogni anno un intenso sentimento partigiano e di amore per la Costituzione e la Repubblica, una lista di belle riflessioni, interviste a vecchi combattenti, iniziative nelle scuole, nelle istituzioni e nelle piazze. C’è un’aria di speranza e memoria, di lotta e di fratellanza, che accompagna il nostro Paese verso la celebrazione della festa più importante, e che mischia un sano patriottismo con la riaffermazione dei valori fondanti della nostra comunità.

Parallela a questa si propaga però un’altra aria, un vento mefitico, nauseabondo e insopportabile che cresce pian piano come una cloaca prossima all’esondazione, puntualmente pronta a verificarsi nella giornata del 25 Aprile. Esiste una parte d’Italia, per fortuna assai minoritaria, ma fortemente rappresentata a livello politico , che la Festa della Liberazione non l’ha mai accettata e che rimane legata, a doppio filo, a una delle pagine più nere della Storia novecentesca.

Le dichiarazioni del deputato di Fratelli d’Italia Ignazio La Russa e quelle del direttore de “il Giornale” Alessandro Sallusti sono le prime fiamme (nome calzante dato il contesto) dell’ardore anti 25 Aprile di questo 2020, ma sono solo le ultime di una lunga serie di proposte e esternazioni con le quali negli anni una parte della destra italiana ha evidenziato la propria repulsione nei confronti del lascito della Resistenza e della guerra partigiana.

Dal Berlusconi di inizio millennio che proponeva di cambiare il nome del 25 Aprile in Festa della Libertà al più recente Salvini che addirittura da Ministro dell’Interno l’anno scorso disertò le cerimonie ufficiali, nascondendosi dietro alla “volontà di non strumentalizzare” e alla trita novella secondo cui i morti sono tutti uguali, a destra si cerca ogni volta di cancellare la Festa della Liberazione e di anestetizzarne il significato, provando a far pesare il fatto che oramai sono passati decenni e che il Paese ha bisogno di superare vecchie lacerazioni in nome della pacificazione nazionale e del riconoscimento della sofferenza di tutti i caduti; in tempi di coronavirus si cerca di attaccarsi anche al dramma sanitario, come ha fatto La Russa con la sua proposta di dedicare il 25 Aprile al ricordo delle vittime dell’epidemia.






Certi personaggi e la loro ideologia sono stati sconfitti dalla Storia, eppure non si rassegnano, scalpitano, strillano come Ras di mezza tacca, covando senza tante remore sentimenti di nostalgia verso il Ventennio, le camicie nere e la Repubblica di Salò. Conviene tuttavia che si mettano l’anima in pace: il 25 Aprile è e rimarrà per sempre la Festa della Liberazione dal nazifascismo, la Festa che celebra il coraggio di coloro che fecero una scelta di sacrificio per garantire all’Italia un futuro di libertà, che combatterono nei boschi contro un nemico vile che rappresentava la dittatura, la guerra e la morte.

Come diceva Giorgio Bocca, la pietas verso i morti è antica come il diritto dei loro cari di ricordarli, ma non è dei morti che si parla, ma di quando da vivi stavano a fianco degli sterminatori nazifascisti; nessun repubblichino sarà mai uguale a un partigiano, nessun collaborazionista dell’Olocausto e delle stragi di Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Fosse Ardeatine e tante altre sarà mai uguale a chi si rifugiò sulle montagne in nome di ideali su cui ricostruire una nuova nazione.

La Resistenza, il più alto esempio di levatura morale e civile nella storia italiana, vide insieme comunisti e democristiani, socialisti e liberali, azionisti e monarchici, ed è quindi un patrimonio comune di tutti, il momento in cui è nata, citando Piero Calamandrei, la nostra Costituzione. Anche se chiusi in casa, anche se solo da un balcone o da una finestra, che si celebri come si deve questo 25 Aprile: cantate Bella Ciao, leggetevi qualche pagina de “Il Partigiano Johnny” di Fenoglio, sventolate con orgoglio i tricolori e i fazzoletti dell’Anpi, catturate le parole dei pochi partigiani ancora in vita.

C’è ancora bisogno di Resistenza in questo Paese. Di camerati e nostalgici troveremo invece sempre il modo farne a meno.






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