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Elezioni comunali

Propaganda di guerra

 

Come nella più consueta tradizione nostrana, anche la presenza del presidente ucraino Zelensky a Sanremo è diventata una farsa. Imposto al servizio pubblico dalla bavosa lingua di Bruno Vespa, annunciato come un’epifania volta a spostare l’opinione pubblica verso il sì alle armi a pioggia, alla fine l’atteso discorso di Zelensky nella serata conclusiva del festival si è ridotto ad un messaggio che sarà letto da Amadeus, dopo un’attenta perizia ad opera dei vertici di viale Mazzini.

La baracconata Zelensky-Rai lascia il tempo che trova, e si inserisce perfettamente in una settimana sanremese di ragazzini che perdono la brocca e di monologhi a prova di selfie: sventurato il Paese che ha bisogno di eroi, ma sventurato anche il Paese che deve farsi insegnare a vivere da Chiara Ferragni. Il vero problema è che la guerra in Ucraina si è ridotta ad un tira e molla sulle modalità di comizio del suo presidente, mentre la realtà rimane sullo sfondo: 200.000 morti, quasi 10 milioni di sfollati, intere città e villaggi distrutti, continuo massacro di giovani ragazzi utilizzati come carne da cannone.

E questi sono solamente i dati dell’ultimo anno di guerra, quello iniziato il 24 febbraio scorso: perché il conflitto a dire il vero è partito nel 2014, con l’annessione militare della Crimea alla Russia e la secessione dei territori del Donbass. Per capire, che è cosa ben diversa da giustificare, la criminale aggressione di Putin di un anno fa è necessario risalire alla rivolta di piazza Maidan, agli accordi di Minsk, agli atti vessatori del governo di Kiev nei confronti della popolazione russofona delle repubbliche separatiste; più a volo d’uccello, bisogna guardare a quali sono stati i rapporti tra l’Occidente e l’ex impero sovietico dal 1991 ad oggi, all’allargamento incontrollato della Nato verso Est, alle tensioni fomentate da interessi economici e geopolitici.

 

Purtroppo, come abbiamo ampiamente constatato, chi cerca di andare oltre la superficie e di proporre una lettura diversa dalla solita vulgata a reti unificate viene messo alla gogna come putiniano, traditore, falsario: in tanti hanno subito questo trattamento tra politici, giornalisti, storici e intellettuali. Nelle piramidi dei reietti, l’ultimo gradino lo occupano senza dubbio i pacifisti, considerati ambigui fiancheggiatori del tiranno. La grande questione attuale, però, è che di pace nessuno parla più.

La volontà di ricercare una soluzione diplomatica della guerra non è a dir la verità mai stata troppo di moda, ma oramai siamo giunti ad un punto in cui neppure si fa finta di volersi sedere intorno a un tavolo. I governi occidentali marciano al comune suono delle bombe, inviate indiscriminatamente insieme ad altri ben più potenti armamenti – che di difensivo non hanno nulla – senza neppure che i cittadini possano esserne informati con trasparenza. L’Italia ha fatto di nuovo il proprio passo da fido segugio della Nato e degli Usa, grazie al voto di gennaio con cui il Parlamento ha prolungata per tutto il 2023 la fornitura di armi a Kiev.

L’ennesimo schiaffo all’art. 11 della Costituzione e alle sue affermazioni di ripudio delle guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, nonché l’ennesimo atto di menefreghismo nei confronti della maggioranza di italiani che chiede di interrompere questa catena della morte.






L’Ucraina non è né un paese della Nato né tantomeno dell’Unione Europea. Si è trovata suo malgrado nel mezzo di una guerra tra la Russia e l’Occidente, con l’ulteriore danno di essere nelle mani di un presidente fuori controllo ed eterodiretto da Washington. Le stanze dei bottini, così come le redazioni di molti giornali e le sedi di molti partiti, sono piene di malati di mente che credono possibile sconfiggere la Russia sul campo. La conseguenza di un rialzo militare contro una potenza che ha 5970 testate atomiche non può che essere l’avvio di un conflitto apocalittico da cui nessuno uscirebbe vivo.

D’altronde è la storia ad insegnare che ogni trattato di pace prevede delle rinunce dell’una e dell’altra parte, spesso anche di carattere territoriale; fanno ridere coloro che si stracciano le vesti per difendere l’integrità territoriale dell’Ucraina, quando la Nato che tanto venerano nel 1999 non esitò a bombardare illegalmente la Serbia per sostenere l’indipendenza del Kosovo a maggioranza albanese.

Certamente non si possono fare paragoni immediati tra eventi diversi; in quel caso c’era l’elemento non secondario delle violenze serbe e della politica criminale di Milosevic in tutto il decennio sia in Kosovo che nella restante ex Jugoslavia, ma se si sostiene l’autodeterminazione dei popoli allora bisogna fare lo stesso per la Crimea e le repubbliche del Donbass, le quali, piaccia o meno, sono a schiacciante maggioranza russofone e molto più legate a Mosca che a Kiev. Non c’è spazio però per ragionamenti logici. Pace, diplomazia, dialogo, comprensione storica sono parole la cui scena viene rubata totalmente dall’unica protagonista dei nostri tempi, la propaganda.

Vogliono convincerci della necessità di alzare la spesa militare al 2% del Pil, di sostenere all’infinito una guerra senza sfondo, di abbracciare fideisticamente quella Nato che negli ultimi settant’anni ha compiuto continue guerre illegali in tutto il mondo. Tanto a morire sono gli altri. Mentre ad abboccare siamo sempre noi. Anche se in questi tempi di elmetto potrebbe toccarci di rimettere pure le penne.

 

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