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Elezioni comunali

Pensiero ed elmetto unico






Quasi vent’anni fa, nell’aprile 2002, Silvio Berlusconi lanciava da Sofia l’editto bulgaro con cui fece mettere alla porta gli sgraditi giornalisti della Rai Biagi, Santoro e Luttazzi. Un gesto autoritario, un meschino attacco alla libera informazione verso il quale il mondo della sinistra reagì con una levata di scudi.

Trascorse appena due decadi, è incredibile come i ruoli siano cambiati, come la stessa sinistra (parola fuori luogo per le ridicole forze attuali) che allora si indignava per la censura adesso sostenga questa pratica senza vergogna. Il contratto che il professor Alessandro Orsini aveva sottoscritto con la Rai è durato un battito di ciglia in seguito alle pressioni di Pd e Italia Viva, sconvolte dalla presenza sul servizio pubblico di colui che è stato definito un “pifferaio di Putin”.

Mai una parola di sostegno all’autocrate del Cremlino è uscita dalla bocca di Orsini, il quale ha semmai ribadito in ogni modo la propria vicinanza all’Ucraina. Il sociologo tuttavia si è macchiato di un peccato gravissimo di questi tempi, ovvero ha sin da subito rifiutato una lettura manichea e superficiale del conflitto provando ad analizzare le premesse storiche e di conseguenza ad evidenziare determinate responsabilità occidentali.






Un’operazione simile ad esempio a ciò che fa la storiografia quando individua nelle sciagurate condizioni imposte alla Germania dai vincitori della Grande Guerra una delle cause dell’avvento del nazismo; nessuno si sognerebbe di accusare gli studiosi di simpatie hitleriane, ma nel tema Ucraina tutto cambia.

E così si grida allo scandalo non appena qualcuno fa notare che la Nato negli ultimi trent’anni si è allargata a Est inglobando 10 paesi dell’ex Patto di Varsavia e arrivando fino ai confini ucraini, in barba a ogni accordo e dichiarazione seguiti alla caduta del Muro. Alla medesima gogna vengono condannati coloro che ricordano le violenze del governo di Kiev contro la popolazione russa nel Donbass a partire dal 2014. Nessuno, o perlomeno la gran parte di chi introduce questi interrogativi nel discorso nega le colpe di Putin, le sue incancellabili bestialità, l’invasione illegale di uno stato sovrano: eppure avviare un ragionamento ampio e critico equivale all’esporsi al plotone d’esecuzione del pensiero unico.

Uguale sorte se non peggiore tocca ai pacifisti. L’invio delle armi agli ucraini e il riarmo stile Belle Epoque sono il nuovo Sol dell’Avvenire: guai a obiettare che armare fino ai denti i civili serve solo ad allungare i tempi di un conflitto (e quindi anche i suoi morti) che dovrebbe invece trovare una soluzione diplomatica.

La UE però da questo punto di vista non esiste, Biden è uscito di senno, e così gli stati europei chinano la testa di fronte alla Nato e alla sua richiesta di aumentare le spese militari fino al 2% del Pil. Una pazzia, come l’ha definita Papa Francesco, ma ben pochi esponenti della politica italiana provano la stessa vergogna del Pontefice verso una scelta offensiva dell’etica e del buon senso, in un momento in cui il caro vita sta ammazzando le famiglie e due anni di pandemia hanno mostrato tutti i problemi della sanità (quelli della scuola li conoscevamo anche prima del Covid e degli sciagurati concorsi di queste settimane).






L’Occidente si erge ad anima sana del mondo dimenticando le bombe criminali in Iraq, Afghanistan, Libia, Serbia, Siria; rivendica la propria libertà di stampa in contrapposizione al tiranno Putin, tacendo su un giornalista come Assange che non vede la luce del sole da un decennio e rischia l’ergastolo per aver rivelato segreti scomodi; affoga nell’ipocrisia indignandosi (giustamente) per le atrocità in Ucraina senza accorgersi che la guerra intorno a noi non è mai cessata, come in quello Yemen da sette anni distrutto dalle bombe (vendute anche dall’Italia) dei sauditi amici di Renzi.

La verità è la prima vittima della guerra, scriveva Eschilo 2500 anni fa. Quanta ragione anche oggi c’è in queste parole, a est e a ovest dell’Ucraina.

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