Notizie in Tempo Reale dal Territorio

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors

NON GIUDICARE

 

Per scegliere di leggere uno scritto di papa Francesco non è necessario essere credenti o assidui praticanti. Questo pontefice venuto dalla fine del mondo è oggi un meraviglioso punto di riferimento su tanti argomenti, compresa la guerra in Ucraina col suo folle coro di voci in sostegno delle armi in cui Francesco è appunto una delle poche coraggiose eccezioni. Il messaggio del Vangelo è a prescindere un’ispirazione anche per i non cristiani, e nella rielaborazione di Bergoglio ci sono molti spunti per la nostra esistenza quotidiana. In “Ti voglio felice”, il recente manifesto per la felicità di ogni uomo e donna, il papa scrive:

“Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati: perdonate e sarete perdonati. […] Il primo passo è l’accusa di se stessi, prima di accusare gli altri. Chi non impara ad accusare se stesso diventa ipocrita. […] Perché chi sa guardare soltanto le pagliuzze nell’occhio dell’altro finisce nella meschinità, piena di piccolezze, piena di chiacchere.”

Siamo tutti parte di un’unica grande razza, siamo tutti membri di una società che ha sviluppato consuetudini e attitudini personali e sociali sin dagli albori. Certi comportamenti riguardano in fondo ciascuno di noi, non per forza per cattiveria, e non siamo in alcun modo dei santi. Ma proprio perché non siamo avvolti da un’areola celeste, siamo tutti in grado di poter sbagliare: di errori ne commettiamo a manciate nella nostra vita, anche laddove pensavamo che non avremmo mai potuto cadere in fallo.

 

Ritrovarsi perciò a puntare il dito e a giudicare gli altri è meschino, oltre che ipocrita; il primo passo che dovremmo fare è guardare dentro noi stessi, capire se siamo davvero così puri e innocenti da mettere in croce il prossimo, da schernirlo senza pudore sbandierando una presunta superiorità. Il secondo passo, ancora più importante, dovrebbe essere quello di sospendere il giudizio e provare a capire, a riflettere. Non tutto ciò che vediamo ha una spiegazione razionale, non tutto ciò che ci si pone davanti nei comportamenti delle persone rispecchia il processo meccanicistico delle convenzioni e delle bieche credenze comuni.

Certo, di fronte a comportamenti palesemente sbagliati e ingiusti, in particolar modo contro la legge, è più difficile spostarsi da una posizione di giudici giudicanti imbevuti di certezze: davanti per esempio a un pluriomicida condannato in via definitiva il perimetro della comprensione e i margini per abbassare il dito puntato sono molto più ristretti. E’ compito davvero in questo caso di chi ha una forte fede guardare oltre i fatti. Però anche chi non segue nessuna religione può e anzi deve scendere da scranni di giudizio e chiacchiericcio di fronte a persone che non si sono macchiate di singolari infamità.

Lealtà, correttezza, rispetto, empatia sono tutti valori che non dovrebbero mai venir meno nella vita, nel lavoro come in famiglia, in amicizia come in amore. Ognuno comunque sceglie di vivere come vuole, e in ogni caso poi si trova a rispondere dei propri sbagli. Tuttavia ci sono situazioni in cui non ci si comporta come si dovrebbe, come si vorrebbe, e si tradiscono quei valori che abbiamo sempre tenuto alti e si può anche far del male a persone a cui vogliamo bene. Solo chi si vive queste dinamiche personalmente può conoscere davvero come stanno le cose, cosa c’è dietro, quali sono i sentimenti e le emozioni che si rincorrono in uno sbaglio, nelle sue conseguenze e nella sua evoluzione.

Dall’esterno non si hanno mai gli strumenti per rendersi conto di ciò che accade ad altri; abbiamo al massimo una visione distorta, parziale, spesso avvelenata da voci false e ancor più spesso dipendente da pregiudizi e stratificazioni culturali. Viviamo in una società che campa su un finto bigottismo e su un perbenismo che si rivelano poi nient’altro che ipocrisia e desiderio morboso di sparlare.






Siamo per esempio imbevuti di concezioni maschiliste e censorie, dove una donna che appare un po’ più estroversa o si veste in maniera più provocante è subito giudicata di facili costumi, una sgualdrina senza ritegno: da qui alla giustificazione degli stupri perché le gonne sono troppo corte il passo è breve, e in effetti è ciò che talvolta succede. Un tradimento di un uomo è una scappatella da rimbrottino, se non da medaglia al valore, mentre da parte della donna è un atto esecrabile per il quale la protagonista dovrebbe bruciare sul rogo.

In situazioni che riguardano una coppia di innamorati, ma anche una coppia di amici, un genitore e un figlio, pensiamo che ciò che appare sia la verità completa e definitiva, mentre quasi sempre a mostrarsi è solamente la punta di un iceberg enorme dove c’è molto, molto di più. Ciò a maggior ragione quando compare un problema, un qualcosa per cui dall’esterno scatta subito un giudizio.

Parole del genere non sono da predicatori, né tantomeno, come ricordato all’inizio, da ferventi cattolici. Sono un messaggio di consapevolezza che ognuno di noi può fare proprio, nel cammino lungo e tortuoso, seppur bellissimo, della vita. Un’esistenza che non si ferma alla superficie, che non giudica gli altri ma che al contrario li rispetta e li mette anzi al centro di una riflessione su se stessi, è un’esistenza migliore. Come lo è parimenti un’esistenza che sappia far propri la gentilezza, la mitezza, il perdono, la capacità di ridere di se stessi. E’ così, dice papa Francesco, che possiamo avvicinarci un po’ di più alla felicità.

 

Torna in alto