La scena più pietosa del più pietoso dei mondiali di calcio si è tenuta all’ultimo atto. L’emiro del Qatar Al Thani che copre le spalle di Lionel Messi con il bisht, il tradizionale mantello arabo, è l’immagine perfetta di cosa sia stata questa coppa del mondo: una baracconata dove i soldi hanno potuto comprare tutto e offuscare qualsiasi ambito, dai diritti umani fino alla celebrazione sportiva più importante che esista.
Messi d’altronde poco facilmente avrebbe potuto sottrarsi all’investitura del ricco ospite, considerando che costui è il suo padrone al Paris Saint-Germain (e dunque lo paga, per altro alla grande); non che da Messi poi ci fossero da aspettarsi troppi gesti nobili e rivoluzionari, aspetto che lo terrà sempre a debita distanza – sebbene sul campo il solco lo abbia in parte colmato – da Diego Armando Maradona.
Più ridicola del numero dieci argentino vestito a lutto c’è stata solo la comparsata dello chef turco Salt Bae, che ha ottenuto i suoi due minuti di gloria facendosi fotografare in campo con la coppa in mano: un momento tristissimo figlio in fondo, oltre che della moneta sonante, delle colpe di chi sui social ha permesso a uno che tira il sale sulle bistecche tipo Trilli con la polvere di fata di avere successo e conseguente arroganza. Ma questo è folklore.
La vera vergogna sta nell’aver fatto sì che un paese come il Qatar organizzasse un mondiale, e nell’aver taciuto ipocritamente sui misfatti che nel percorso di avvicinamento alla manifestazione si ripetevano ogni giorno con sempre maggiore insistenza.
Più di 6500 lavoratori sono morti per costruire i patinati stadi di Qatar 2022 (che saranno smontati entro breve), quasi tutti immigrati che pur di portare a casa il pane sono stati disposti a farsi sfruttare con paghe da fame, zero tutele e ritmi di lavoro devastanti. Il Qatar è una dittatura liberticida che calpesta i diritti civili, al pari dei vicini sauditi tanto cari a Matteo Renzi; ci si indigna a ragione contro il regime tirannico dell’Iran ma si alza solo un timido ditino contro le petrol-monarchie della Penisola arabica, in nome del dio quattrino.
La via più giusta l’hanno seguita coloro che hanno boicottato il teatrino qatariota sin dalla prima partita, mentre purtroppo la maggioranza si è lasciata attrarre dal televisore, compreso chi scrive, che scaglia la prima pietra ma non è senza peccato: ammetto di aver resistito per tutta la prima fase, ma dalle semifinali in poi gli spezzoni visti sono diventate gare complete con supplementari e rigori, compresi quelli della finale dove il tifo per la Francia ha sbattuto in una cocente delusione. I mondiali al Qatar sono stati un regalo di Sepp Blatter.
Un dono non certo disinteressato, bensì ben unto dagli eterni oli della corruzione, come hanno rivelato inchieste giornalistiche e giudiziarie. L’indagine dell’Fbi ha portato, nel 2015, a quarantasette capi d’accusa tra cui associazione a delinquere, frode telematica e riciclaggio di denaro, con l’arresto di sette massimi dirigenti, l’iscrizione nel registro degli indagati di quattro membri del Comitato esecutivo e le dimissioni di Blatter. La corruzione legata ai mondiali appena conclusisi non sembra tuttavia essersi fermata nei palazzi di calcio.
Da alcuni giorni non si parla d’altro che delle indagini della magistratura di Bruxelles sulle presunte mazzette del Qatar ad alcuni parlamentari europei per ottenere un trattamento di favore. Le autorità belghe stanno procedendo per corruzione, riciclaggio e associazione a delinquere contro alcuni funzionari ed esponenti politici della Ue, e i fari dell’inchiesta si sono accesi soprattutto sul gruppo dei Socialisti tra cui alcuni italiani come Antonio Panzeri (Pd) e Luca Visentini (Articolo Uno); a casa della greca Eva Kaili, vicepresidente del Parlamento subito destituita, sarebbero stati trovati sacchi di banconote per centinaia di migliaia di euro, mentre a Panzeri e famiglia (sono in stato di fermo anche la moglie e la figlia, ritenute pienamente consapevoli degli “intrallazzi” dell’ex segretario generale della Camera del Lavoro di Milano) sono contestate tangenti e vacanze extra lusso.
Tra i nostri compatrioti coinvolti nello scandalo ci sono anche Niccolò Figà-Talamanca, ai vertici della ong No Peace Without Justice, e Francesco Giorgi, compagno di Kaili e assistente dell’europarlamentare Pd Andrea Cozzolino. Giorgi si occupava non di Qatar ma di Maghreb, e dai paesi di quest’area avrebbe ricevuto denari per servizi simili a quelli resi da Panzeri ai qatarioti.
Che una bella fetta del sistema calcio sia marcia non è una novità, come non lo è il putridume di una bella fetta della politica. Il silenzio della sinistra italiana è imbarazzante – in barba all’ormai sepolta questione morale di Berlinguer – mentre fa ridere l’indignazione della destra che plaude alla magistratura belga mentre da noi il governo Meloni sta facendo di tutto per rendere la vita facile a corrotti, evasori e criminali vari. Finché tuttavia in questo mondo saremo disposti a tollerare tutto ciò, poco o nulla è destinato a cambiare.