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Elezioni comunali

L’Opposizione di cui c’è bisogno







L’era di Giorgia Meloni è ufficialmente iniziata. Dopo aver raccolto i frutti di anni di barricate – vere o presunte – contro i governi di turno, la leader di Fratelli d’Italia si è insediata a Palazzo Chigi prendendo il posto di Mario Draghi. L’arrivo nelle stanze del potere è stato molto umano, carico d’imbarazzo e sicuramente anche di paura, visto lo scenario che l’attende: la Meloni delle prime immagini da premier è impacciata, carica d’ansia, sinceramente gioiosa. Non un grigio burocrate, né un arrivista qualunque stile Leopolda. Vedere però certi momenti e certi dialoghi del suo passaggio di consegne con Draghi dà l’idea di quanto, più che una rottura, quella di Meloni con l’ex presidente della Bce sia una continuità poco celata e preoccupante al grado inverso. Nell’anno e mezzo di governo dei Migliori Fratelli d’Italia si è accreditata come la principale e d’altronde quasi come l’unica forza di opposizione del Parlamento. La destra meloniana ha avuto l’acume di non accettare la spaventosa ammucchiata che ha sostenuto Draghi, si è smarcata dal giubilo con cui quest’ultimo venne accolto come salvatore della patria ed è stata di conseguenza ripagata con un’impennata di consensi ampiamente prevedibile, sebbene i Letta di turno continuassero a ripetere che per fermare l’onda nera l’unica soluzione fosse la mitologica Agenda Draghi. Nei fatti, tuttavia, Meloni è stata molto vicina alla linea draghiana, soprattutto su alcune tematiche cardine come esteri, economia e giustizia. Perciò una volta ascesa a presiedere il Consiglio dei Ministri donna Giorgia ha giocato a carte scoperte facendo chiaramente intendere che non si discosterà poi tanto dalle scelte di Draghi, se non per dare un’inevitabile sterzata ancor più marcatamente di destra alla luce della composizione della propria maggioranza.





Il discorso di lunedì alla Camera dei Deputati è stato un manifesto delle idee che Meloni ha e che caratterizzeranno la linea di governo; sia chiaro, nel mare di retorica e senso identitario è mancata completamente una pars costruens in merito a come ella intende affrontare le emergenze più stringenti del nostro Paese, a cominciare da questione lavoro, inflazione e caro bollette, ma si è ben capito da che parte andrà. Al di là delle risibili affermazioni sul non aver mai avuto simpatie per il fascismo, ci sono degli aspetti cristallini ben messi in evidenza: fedeltà servile a Usa e Nato, volontà di sostenere ad oltranza la guerra in Ucraina, pace fiscale (ovvero condono), guerra ai poveri, campo libero per le imprese o meglio per chi sfrutta e chi evade, visione della giustizia in stile Cartabia, presidenzialismo, ripresa della linea Minniti per fermare le partenze di migranti.

Ce n’è già abbastanza per cominciare a costruire un’opposizione lucida e concreta, e c’è chi lo ha fatto sin da subito e chi invece si è coperto di nuovo di ridicolo. Evitando di considerare Italia Viva e Azione come forze di opposizione (idea già valida ai nastri di partenza e rafforzata dall’elezione di La Russa e dagli ammiccamenti sulle riforme istituzionali), quel Pd che dovrebbe essere, numeri alla mano, il primo partito di lotta all’esecutivo non trova in questi giorni niente di meglio delle ridicole baruffe sul genere maschile scelto dalla premier.

Di fronte a queste mestizie, condite da tweet impietosi, è facile comprendere come abbia fatto la Meloni ad arrivare al 26%, e come in parallelo abbia fatto il Pd a toccare i minimi storici. Per fare una opposizione seria bisogna partire dai temi, bisogna pungere l’avversario con le parole e i toni giusti, bisogna trasmettere messaggi chiari con onestà intellettuale e sagacia politica. Un esempio da applausi di come si risponde alla retorica destrorsa meloniana lo hanno dato in Parlamento Giuseppe Conte e forse ancor di più Roberto Scarpinato.






L’ex procuratore generale di Palermo, eletto nelle file dei 5Stelle, ha fatto una magistrale ricostruzione della storia dell’Italia repubblicana, ricordando come quel neofascismo terrorista che Meloni vuole mettere da parte, o quantomeno annullare in un paragone con il per lei più grave “antifascismo da chiave inglese”, abbia tentato di scardinare la Costituzione democratica e repubblicana nata dalla Resistenza, e abbia agito in tale direzione in collusione con la mafia; proprio quella mafia che, ha detto Scarpinato, Meloni dichiara di voler combattere mentre siede al governo con personaggi inchiodati da sentenze definitive come finanziatori di Cosa Nostra e collusi col potere mafioso.

Ha aggiunto inoltre l’ex magistrato: “Può una forza politica che si appresta a governare con simili ascendenze culturali, ampiamente condivise dalle altre forze politiche della maggioranza, Lega e Forza Italia, attuare politiche che pongano fine alla crescita delle disuguaglianze e della ingiustizia sociale che affligge il nostro paese? La risposta è negativa. Perché questa crescita delle disuguaglianze e della ingiustizia non è frutto di un destino cinico e baro, ma il risultato di scelte politiche a lungo praticate dall’establishment di potere di questo paese che ha surrettiziamente sostituto la tavola dei valori della Costituzione con la bibbia neoliberista, i cui principi antiegualitari e antisolidaristici sono ampiamente condivisi dal grande e piccolo padronato nazionale.”

Fatelo leggere alla Serracchiani, o ad altri parolai che l’opposizione non sanno nemmeno cosa sia.

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