Dal 2019 i due fratelli non possono più entrare nell’abitazione della mamma dove sono cresciuti e dal 2023, Stefano, non ha più neanche la pensione d’invalidità fondamentale per sostenere le cure riabilitative.
Della storia di Stefano Mangiarano (nato il 1° gennaio 1967), vittima di un terribile incidente stradale che dal 1993 lo costringe all’invalidità e all’interdizione, ne hanno parlato non molto tempo fa numerosi articoli giornalistici e servizi tv. Ad oggi però, niente e nessuno sembra essersi mosso realmente per risolvere una assurda vicenda come quella che stanno vivendo i Mangiarano.
Facciamo un passo indietro. È il capodanno 1993 e Stefano resta coinvolto in un grave incidente stradale con la sua auto; batte la testa e, a causa di numerose micro lesioni, resta per un anno in coma. Da quel momento, inizia per lui un recupero lento e faticoso, a livello sia fisico che mentale, che nel 1996 lo porta ad entrare nel Centro Terapeutico Europeo di Rignano sull’Arno, specializzato in questa tipologia di lesioni.
Negli anni Stefano alterna il soggiorno al CTE ai ritorni a casa sua e di sua mamma, una casa di Spa (residenza popolare) ricevuta dal padre negli anni ’80. Qui, prima dell’incidente, Stefano abitava insieme alla madre e al fratello Mario Mangiarano, oggi tutore legale di Stefano e famoso disc jockey e producer dei principali club della Toscana.
C’è un personaggio però, che ancora non è comparso, ma che è un tassello essenziale nella vicenda che vi stiamo per raccontare. È l’uomo col quale la madre di Stefano e Mario si è riaccompagnata dopo la morte del marito, un signore che negli anni ha spesso assistito Stefano nella riabilitazione e che, col tempo, è entrato a far parte della vita della famiglia Mangiarano. Nel 2019 la madre di Stefano e di Mario muore dopo alcuni anni di malattia. Dopo un mese dal decesso, Mario riceve una chiamata: nell’appartamento in cui viveva la madre è avvenuto un furto. Mario arriva immediatamente sul posto e, una volta davanti alla porta, trova i tecnici che stanno cambiando la serratura.
“È per sicurezza”, lo rassicurano subito. Ma quando Mario chiede una copia delle nuove chiavi, viene liquidato immediatamente promettendogli che, con un po’ di pazienza, anche la sua copia sarebbe arrivata. Dopo 5 anni da quella promessa, delle chiavi ancora non vi è alcuna traccia e, sia Stefano che Mario, non possono più mettere piede nella casa della madre.
Non solo: dopo alcuni controlli da parte degli assistenti sociali della zona, è risultato che Stefano, in quanto non più effettivo abitante di quella casa, non avrebbe neanche più diritto alla residenza presso la stessa; residenza che, oltre a spettare di diritto a Stefano, gli consentiva di vedere oggetti e ricordi della propria infanzia. Le mura dove è cresciuto e ha vissuto rappresentavano per lui una parte importante della sua terapia.
Dal 2023 inoltre – racconta Mario – ho scoperto che a Stefano non pagano più la pensione d’invalidità perché sospesa. In pratica, gli hanno tolto la pensione d’invalidità, la casa e anche la dignità.
Questa storia mostra un sistema che non solo non funziona, ma reca dei danni morali e materiali a cittadini che, come Stefano, si trovano a dover vivere una vita all’insegna di terapie e percorsi di riabilitazione continui. Per queste persone poter tornare a casa mensilmente e rivedere le proprie cose e i propri affetti è un valore preziosissimo. “Se Stefano mi chiede di andare a casa, io non posso portarlo. Se Stefano mi chiede di portargli qualcosa di suo da casa, io non posso portarglielo”, spiega Mario il quale, tra le altre cose, da oramai più di un anno paga la retta del centro di riabilitazione del fratello, retta che dovrebbe invece essere sostenuta della pensione d’invalidità.
“Le persone che dovrebbero garantire giustizia a cittadini come mio fratello, sono le stesse che gli hanno tolto le chiavi di casa e, insieme a quelle, tutti i suoi diritti.”