Winston Smith, protagonista della distopia letteraria “1984”, capolavoro di George Orwell, per sfuggire all’occhio totalitario del “Big Brother” e poter annotare sul diario pensieri antigovernativi, si celava dietro un angolo della propria casa, unico spiffero non sorvegliato dallo sguardo oppressivo del potere.
Winston Smith, oggi, siamo noi.
Firenze è una città senza abiti. Spogliata di ciò che, assieme ai suoi capolavori sospesi tra cielo e terra, la rende unica: i fiorentini.
Informazione e giornalismo non si fermano.
Compilo e firmo l’autocertificazione, alla voce “diretto a” scrivo Firenze.
Mascherina messa, trovo anche i guanti di lattice monouso: il set DPI è completo. Esco per motivi lavorativi eppure prevale in me la condizione di clandestinità: varcare la porta di casa è diventato, nel giro di poche ore, il gesto meno naturale del mondo.
Temo il posto di blocco e devio verso strade semi sconosciute di campagna, non trovo impedimenti e arrivo in città. Quartiere: San Niccolò.
I primi passi sono accompagnati da nitidi cinguettii.
Tutto è chiuso come da DPCM del 9 Marzo, rafforzato dal decreto di alcuni giorni fa. Non ci sono chiacchericci, né forchette che rimbalzano sui piatti, ogni singolo esercizio ha la saracinesca ben abbassata. Viro verso Ponte Vecchio.
I più che incontro vestono la mascherina, una donna entra in casa in completa tenuta anti-coronavirus: da capo a piedi protetta da una tuta in lattice. Ognuno affronta la sfida a suo modo, assecondando le proprie paure.
Qualcuno porta a spasso il cane e una decina di persone attendono fuori dalla Conad, a due passi dal primo monumento nudo: Ponte Vecchio. Sulle gioiellerie serrate un foglio bianco inizia così: “In ottemperanza al Decreto…”, il resto lo conoscete.
La calma è piatta, Firenze è sospesa in una bolla di malinconia.
Le poche persone che si incrociano non si guardano, non c’è corrispondenza né cenni di complicità. Il virus c’è ma non si vede. Ed ha già contagiato il 100% delle nostre menti: indossa il nostro cappotto, cammina con le nostre gambe.
Invisibile, impercettibile, soffocante.
All’imbocco di Via Por Santa Maria un anziano è immobile davanti alle locandine del giorno ed un ausiliare pulisce la strada intonsa. Un carabiniere ordina con enfasi a due passeggianti:
“Andate a casa, a casa!”.
Sui bandoni dei negozi ancora quei fogli bianchi: “…per il contrasto ed il contenimento dell’emergenza…”.
Piazza della Signoria è infinita.
Priva di distrazioni ne comprendi le smisurate dimensioni. Mentre invochi smisurate preghiere: torneranno anche il caos calcolato e i bastoni per selfie. La fontana del Biancone scroscia con violenza nel silenzio assordante della piazza. Si sente il suono metallico della ricetrasmittente di una vigilessa e le campane rintoccano, indisturbate, mezzogiorno.
Via Calzaioli è uno spinoso trekking di montagna, in pochi osano avventurarsi. Non c’è magia nel disegno mentre nella mascherina l’aria entra rarefatta: il pensiero corre agli operatori sanitari costretti a lavorare turni massacranti con DPI ingombranti, ore ed ore, eroici.
Continuo, sino a Piazza della Repubblica.
Due camionette della Polizia sorvegliano il cuore pulsante fiorentino, incrocio antico di cardo e decumano, oggi attraversato da qualche piccione che non affretta il passo. Un uomo, al telefono, parla:
“E’ come se fosse tutto il giorno le 7 di mattine”.
E’ così. Sono giorni di eterno sonno, Firenze dorme ancora, in attesa di risvegliarsi dall’incubo.
Piazza del Duomo è una tela già dipinta, perfetta nella sua fissità che non accetta presenze umane. Qualche fantasma, al massimo. I pochi avventori impugnano il cellulare e scattano: “Fa effetto”, dice un tizio. Siamo nella storia. E non è granchè…
Via Tornabuoni appare uno scherzo di cattivo gusto, riporta alla realtà, ai pensieri su costi folli e acquisti non indispensabili: nell’aridità della via ogni accessorio in vetrina perde il suo valore, ogni etichetta il suo significato. Anche il denaro ha smesso di luccicare, di essere gas. Tornerà ad essere “necessaria” una borsa da mille euro?
e
Winston Smith ripone la penna e chiude il diario.
Scrive: “Nessuno si salva da solo.”
Nel ricordo di giorni grigi, teste basse e muri invisibili, torneremo a stringerci la mano e salutarci col sorriso.
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